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Antonio
Persio
II° Parte
Con il
trasferimento a Roma, a seguito della rinuncia alla pieve patavina e di un
breve periodo di studio tra Bologna e Pisa, ebbe invece inizio per Persio una
nuova stagione creativa. Al servizio prima dei Caetani, poi dell’antico allievo
Lelio Orsini – per il quale compì, nel biennio 1593-94, un viaggio a Firenze,
città dalla quale inviò, a un destinatario ignoto, una lettera a proposito
della polemica sul genere tragicomico (Milano, Biblioteca
Ambrosiana, Mss., D.481 inf., c. 402) – e infine dei Cesi, egli scrisse
tre opere di grande rilevanza: il De recta ratione philosophandi –
testo di argomento logico, del quale è noto soltanto l’indice, pervenuto tramite
l’Index capitum librorum Antonii Persii Lyncei Materani Civ. Rom. I.V.C.
philosophi theologi praestantissimi. De ratione recte philosophandi et de
natura ignis et caloris, redatto dopo la sua morte da Giovanni Bartolini e
pubblicato a Roma nel 1615 presso Giacomo Mascardi, contenente peraltro anche
una lista di numerose opere di Persio al momento perdute – il De natura
ignis, il cui manoscritto è conservato a Roma, Biblioteca
Corsiniana, Arch. Linc., VI-VII, e il Del bever caldo costumato dagli
antichi romani, edito a Venezia nel 1593 (G.B. Ciotti). Con quest’ultimo testo
Persio si inserì in una vivace querelle che intrecciava a interessi
eruditi – cercare di stabilire se i romani fossero soliti mescolare il vino ad
acqua calda o fredda – analisi di carattere medico. Sostenere il carattere
caldo dell’acqua significava, infatti, appoggiare l’idea telesiana secondo cui
l’unico spiritus di cui l’uomo è dotato, la cui caratteristica
primaria è il calore, deve assumere, per conservarsi, elementi a sé simili, in
netta contrapposizione ai sostenitori della teoria degli umori e della presenza
di una pluralità di spiriti che devono essere equilibrati attraverso elementi
contrari. Il trattato di Persio, che ebbe il merito di inserire i nuclei
tematici del dibattito in una cornice teorica di ampio respiro, rese la disputa
ancor più animata: in suo favore intervennero infatti sia Giusto Lipsio sia
Tommaso Campanella. Il filosofo fiammingo, fautore del ‘bere caldo’, rispose
nel novembre 1603 a una lettera in cui Persio lo informava degli attacchi di
cui erano oggetto le sue tesi, palesando il suo sostegno all’opera (G.
Lipsio, Epistolarum selectarum centuria quinta, in Id., Opera omnia,
II, Anversa 1637, lettera a Persio del 3 novembre 1603, p. 235), e Campanella
scrisse un’Apologia pro abbate Persio de calidi potus usu, la cui redazione
originaria è andata perduta. Il supporto offerto da Campanella rappresenta
l’esito di una profonda comunanza, stabilitasi in questi anni, tra i due
filosofi, entrambi legati agli insegnamenti di Telesio e, in ambiente romano,
all’Accademia dei Lincei: fu proprio a Persio che Campanella sottopose la
sua Apologia pro Telesio contro il medico Andrea Chiocco, smarrita
poi da Kaspar Schoppe in Germania nel 1608, nella quale, in accordo con il filosofo
materano, egli sosteneva con forza l’unità dello spiritus. Dopo aver
ceduto al fratello Domizio il beneficio connesso all’abbazia di S. Maria de
Armenis a Matera, concessogli nel 1596, e aver rinunciato al decanato del
capitolo metropolitano di Matera, che gli era stato conferito l’anno seguente,
Persio tornò a dedicarsi ad argomenti giuridici e scrisse un’opera – rimasta
inedita (ad esempio, a Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., Y.37 sup.), ma
che ebbe una straordinaria diffusione – a proposito dell’interdetto veneto:
il Trattato dei portamenti della signoria di Venezia verso Santa Chiesa e
quante volte sia stata scomunicata. Nel 1611 conobbe Galileo Galilei il quale,
dopo la sua morte, si interessò al progetto di pubblicazione dei suoi scritti
promosso – ma mai portato a compimento – dall’Accademia dei Lincei. Persio morì
a Roma il 22 gennaio 1612 nel palazzo del cardinale Cesi in Borgo e venne
sepolto nella Chiesa di S. Onofrio. A coronamento di un percorso intellettuale
di primo piano giunse, nello stesso anno, l’ascrizione postuma all’Accademia
dei Lincei. Il Trattato dell’ingegno dell’huomo, con in appendice Del
bever caldo, è edito a cura di L. Artese, con premessa di E. Canone e G. Ernst,
Pisa-Roma 1999. Fonti e Bibl.: F. Fiorentino, B. Telesio, ossia studi su
l’idea della natura nel Risorgimento italiano, II, Firenze 1814, pp. 358-364;
Id., Di un manoscritto di A. P. sulla questione ecclesiastica nel secolo
XVII, in Rivista europea, III (1877), pp. 707-712; G.
Gabrieli, Notizia della vita e degli scritti di A. P. linceo,
in Rendiconti dell’Accademia dei Lincei. Classe di scienze morali,
storiche e filosofiche, s. 6, IX (1933), pp. 471-479; L. Firpo, Appunti
campanelliani, in Giornale critico della filosofia italiana, XXI (1940),
pp. 431-435; E. Garin, Telesiani minori, in Rivista critica di storia
della filosofia, XXVI (1971), pp. 199-204; Id., Nota telesiana: A. P., in
Id. La cultura filosofica del Rinascimento italiano, Firenze 1979, pp.
432-441; L. Artese, A. P. e la diffusione del ramismo in Italia,
in Atti e memorie dell’Accademia toscana di scienze e lettere ‘La
Colombaria’», XLVI, (1981), pp. 83-116; Id., Una lettera di A. P. al
Pinelli, notizie intorno all’edizione del primo tomo delle Discussiones del
Patrizi, in Rinascimento, XXXVII, (1986), pp. 339-348; Id., Filosofia
telesiana e ramismo in un inedito di A. P., in Giornale critico della
filosofia italiana, LXVI (1987), pp. 433-458; E. Garin, Il termine
‘spiritus’ in alcune discussioni fra Quattrocento e Cinquecento, in Id., Umanisti
artisti scienziati, studi sul Rinascimento italiano, Roma 1989, pp. 295-303; L.
Artese, Il rapporto Parmenide-Telesio dal P. al Maranta, in Giornale
critico della filosofia italiana, LXX (1991), pp. 15-34; M. Padula - C.
Motta, Antonio e Ascanio Persio, il filosofo e il filologo, Matera 1991;
L. Bolzoni, Conoscenza e piacere. L’influenza di Telesio su teorie e
pratiche letterarie fra Cinque e Seicento, in Bernardino Telesio e la
cultura napoletana, Napoli 1992, pp. 203-239.
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