Matera Capitale

I Sassi di Matera

I Sassi di Matera
I Sassi di Matera (Clicca per conoscere la sua storia)

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Nuova collaborazione dal 15 Gennaio 2022

venerdì 21 luglio 2023

 

ONORA IL PADRE E LA MADRE

Un efferato omicidio del 1° Maggio 1959 a Ferrandina

In quel periodo Ferrandina si preparava al boom economico della Valbasento, grandi cattedrali nel deserto che avrebbero risollevato l’economia ed il benessere della Lucania tutta, la gente si preparava a lasciare la terra per il sogno del lavoro in fabbrica, lo stipendio fisso tanto biasimato e tanto ricercato da lavoratori ormai rassegnati al peggio.

Nonostante l’analfabetismo e l’inesperienza che all’epoca la faceva da padrona, tutti sognavano un reddito certo e fisso, nonostante la loro inesperienza e ingenuità.

La Lucania all’epoca era una terra in prevalenza basata sull’agricoltura, la cui massima aspirazione era quella di possedere un pezzo di terreno e coltivarlo sia per vivere che per creare un reddito familiare, da qui parte questa incredibile vicenda, vissuta in un’epoca di analfabetismo, che sfocia in un efferato omicidio dai toni orrendi e crudeli, roba da far accapponare la pelle.

Era il lontano 1959, e precisamente il 1° maggio, le vittime due tranquilli e innocui genitori, che tra stenti e tanti sacrifici erano riusciti a crescere 3 figli maschi, inconsapevoli della loro terrificante intenzione maturata in età adulta.

3 figli che istigati dalle proprie mogli, dopo intrighi matrimoniali e tradimenti vari, maturano la volontà di commettere un terribile omicidio genitoriale al limite della più efferata carneficina, da veri macellai dell’orrore, che ancora oggi fa ribrezzo a chi ne viene a conoscenza.

Di seguito trovate un video di indagine giornalistica a cura della Gazzetta del Mezzogiorno, Repubblica e  Cinegiornale LUCE, curata e ricostruita da giornalisti e testimoni che hanno vissuto la vicenda da vicino, con foto e pubblicazioni dell’epoca.  

VideoFotoGallery






Il Video



sabato 20 maggio 2023

 

IL PATRIARCA DI FERRANDINA

Il “PATRIARCA” di Ferrandina si trova in località “Le Fergole” all’interno di un uliveto millenario, ed appartiene ad una speciale varietà detta “Majatica”, dalla quale si produce un olio eccellente, il tipo di drupa che fruttifica, può essere anche essiccata in forno e consumata in mille modi diversi.

Il Patriarca, è una pianta di circa duemila anni, otto metri di circonferenza, grande come una casa, tanto da essere stata usata come nascondiglio dai “BRIGANTI” nel periodo del brigantaggio Lucano, noto il brigante Ferrandinese Vincenzo Mastronardi detto “STACCONE” per la sua elevata statura, nato a Ferrandina nel 1834 perito nel 1861, barbiere di professione, evase dal carcere di Potenza dove era detenuto per reati comuni e nell'agosto del 1860, si unì ai garibaldini per partecipare ai moti unitari, nella speranza di perdono per i reati commessi in precedenza, come stabilito da Camillo Boldoni, membro del comitato insurrezionale lucano. Non avendo ricevuto la grazia, diventò uomo fidato di Carmine Crocco, sotto il nome di Amato o D'Amato, partecipando alle spedizioni del capobrigante rionerese. Per i "meriti" conseguiti (15 furti e 4 assassini), gli fu conferito il grado di Colonnello. All'apice delle scorribande brigantesche, mentre entrava a Rapolla pronunciò la seguente frase: «Si dice che Francesco II è un ladro. Or bene: io ladro di professione, vengo a restaurare un ladro sul trono».

Arrestato a Boiano, provincia di Campobasso, nell'estate del 1861, fu condotto a Picerno con altri tre briganti (Francesco Pugliese, Nicola Cilenti e Luigi Romaniello) e poi condotto nel carcere di Potenza. Tra il 6 e il 7 dicembre dello stesso anno, durante una notte scossa da neve e vento, Luigi Palese, capo custode delle carceri, entrò nella cella in cui erano rinchiusi i briganti e, svegliandoli, ordinò di prepararsi per essere tradotti a Salerno, Mastronardi sospettava la sua morte ed esclamò: «ho capito ora ce la fanno», sebbene il carceriere li invitò a calmarsi.

Nella medesima notte, i briganti vennero fucilati. Non si sa con certezza la dinamica della morte, si ritiene che, durante il tragitto, i prigionieri furono uccisi a colpi di baionetta in un tentativo di fuga ma sorse anche il dubbio che i detenuti vennero freddati senza aver commesso nulla di eversivo, poiché, non essendo fuggito poco dopo l'arresto quando era sciolto e con poca scorta, risulta piuttosto strano che Mastronardi abbia tentato di scappare durante il serrato trasferimento a Salerno. La verità non si seppe mai. I cadaveri vennero esposti, il giorno seguente, presso la "Piazza Sedile" di Potenza: giacevano su un carro ricoperto di neve.

Tornando al Patriarca, una particolare pianta che genera olive molto particolari quanto uniche nel loro genere, presente in pochissime zone del mondo, che genera un esclusivo e gustosissimo olio, già riconosciuto nel mondo e già pluripremiato per il suo pregiatissimo sapore e limpidezza, definito da grandi intenditori come “un olio riservato alle grandi occasioni”.

Una pianta resasi particolare anche per la sua forma, intrecciata ed incavata a tal punto da sembrare (con un po' di fantasia) ad una piccola casa con vani ed accessori, sorprendente la sua maestosità, se potesse parlare, sicuramente ci racconterebbe delle tante generazioni passate, e ci insegnerebbe sicuramente a vivere adeguatamente, nel rispetto soprattutto della natura, nella sua totalità.

Un vero patrimonio storico insomma, testimone di tante culture e civiltà, non a caso nato e vissuto in un territorio dalle antichissime origini, quelle della città Aragonese, crescendo e radicandosi probabilmente sino al centro della terra, vista la su veneranda età, un tesoro millenario da tutelare e tramandare ancora per altri millenni, come tutte le generazioni precedenti hanno già fatto per noi… e come noi tramanderemo ai nostri figli e nipoti.

Enzo Scasciamacchia

Coll.re Giornalistico Freelance/Scrittore

FotoGallery

Foto di Michele Loponte









domenica 9 gennaio 2022

Da ricerche approfondite...

 

LA VERA STORIA DEL CASTELLO DI UGGIANO DI FERRANDINA

 

Qualcuno ha ritenuto che questo castello è una specie di roccaforte per la posizione, l’ampiezza delle mura di cinta, l’esistenza di una chiesa e la mancanza di resti di edifici pubblici fra le macerie. In realtà indagini degli ultimi anni lasciano affermare il contrario, e che il castello, con l’abitato, era indipendente dal centro vicino di Ferrazzano, cioè Ferrandina. Non sappiamo nulla del fondatore della rocca né sappiamo molto di coloro che per primi ne ebbero la signoria; tuttavia, bisogna farne risalire le origini ai primi anni del X sec. La prima notizia relativa ad Uggiano è del 1023 e 1029, quando Lupo Protospata descrive che due musulmani, Rajca e Safar assediarono il castello Oggiano e si rappacificarono con gli stessi abitanti. Viene documentato, così, il valore strategico dell’insediamento che il 6 febbraio del 1068 permette a Roberto il Guiscardo di rintanarvisi, non avendo egli ancora preso Montepeloso (Irsina), come riporta lo stesso Romualdo Salernitano. Nel Catalogus Baronum, ovvero l’elenco normanno dei feudatari e suffeudatari tenuti al servitium feudale, si evince che un Rogerius de Ogiano possedeva il feudo di Sant’Arcangelo offrendo un soldato o, in aggiunta, due soldati, per una rendita di 20-40 once d’oro. Null’altro si conosce dell’insediamento, che dunque doveva possedere già alcune fortificazioni. Nel 1269 il feudo viene donato a Pietro de Bellomonte, conte di Montescaglioso. Di ciò non abbiamo una fonte autentica, ma nel 1275 il feudo è nelle mani di Giovanni di Monteforte, genero di Pietro. In quest’ultimo documento si parla di "soldati e civili", che la Cancelleria Angioina degli anni 1276-1277 registra in una popolazione di 400 fuochi, tassata per 100 once, 29 tarì ed 8 grana. Nel 1280 anche l’insediamento di Uggiano deve provvedere alla riparazione del castello di Melfi. Il feudo di Andria, insieme ad Uggiano, passò ad Azzo d’Este nel 1308, raccolti in dote dalla moglie Beatrice, ultima figlia di Carlo II d’Angiò, la quale rimasta vedova risposò in seconde nozze con Bertrando del Balzo, cui portò questa dote che si unì alla contea di Avellino e di Montescaglioso. Alla guida del feudo successe il figlio Francesco I, poi il nipote Guglielmo, indi il pronipote Francesco II, che andò sposo a Sancia, figlia di Tristano di Chiaromonte e di Caterina Orsini Del Balzo. A Francesco II successe Pirro del Balzo. Il 20 dicembre 1430 a Napoli il re Ferdinando I ordina un’inchiesta per reintegrare Pirro del Balzo principe di Altamura e duca di Andria, nel possesso dei feudi di Bisceglie, Montepeloso, Acquaviva, Torre di Mare, Pomarico, Tolve, Grottole, Altogiovanni, Monteserico, San Gervasio, Mottola, Uggiano, Sarfi e Tressuti. Nel 1485 Pirro del Balzo viene privato da Ferdinando I di questi beni, per la ribellione da lui capeggiata durante la cosiddetta "congiura dei baroni". Ne è investito il genero Federico d’Aragona, che nel 1492, secondo una pura leggenda, dopo un violento terremoto, fonda con i profughi uggianesi Ferrandina. Di notevole pregio è, infine, la scritta posta come cantonale destro della facciata principale della chiesa HOC OPUS FECIT MAGI STER JACOPUS TRIFOGIA NIS DE ASTILIANO ANNO MILLESIMO CCCL L’iscrizione è realizzata su un concio che male si imposta sull’estradosso dell’arco acuto, per cui è a questo Jacopo di Trifoggio (casale presso Pietrapertosa) cui si devono la serie di tamponamenti, i rifacimenti strutturali e le nuove destinazioni d’uso del castello. (di P. Rescio)

martedì 15 giugno 2021

Personaggi illustri della provincia di Matera...


Un rivoluzionario del dopoguerra









Cartolina celebrativa in ricordo di Giuseppe Novello

Giuseppe Novello con il figlio Filippo

Statua commemorativa a Giuseppe Novello Montescaglioso

Targa commemorativa a Montescaglioso



 

sabato 8 maggio 2021

Matera Città eterna, nuovi ritrovamenti archeologici

 Sant’Eustachio de Posterga

Memoria di un luogo di culto mai censito

Non ci sono dubbi che la Storia antica della Città di Matera richiama a tempi talmente remoti da classificarla una delle tre Città più antiche del Mondo, lo confermano ulteriormente i passati e recenti ritrovamenti archeologici, di seguito alcuni cenni sui più recenti, portati alla luce durante lavori di ristrutturazione in una delle tante piazze distribuite nell’antico rione SASSI (Caveoso), a ridosso dello strapiombo sulla Gravina materana, ormai non c’è più limite alla Storia antica di questa Città, ogni scavo potrebbe portare alla luce nuove testimonianze di una Storia che non ha fine, Matera come Roma, una Città eterna… (n.d.a.)

di Raffaele Paolicelli

La chiesa di S. Eustachio de Posterga, contrariamente a quanto scritto finora, non si trova nelle adiacenze della Cattedrale di Matera. E non coincide, quindi, con quel che resta del monastero benedettino di S. Eustachio.

Nella Civita, infatti, sono esistite ben due chiese dedicate al santo patrono della città: la prima connessa all’omonimo monastero; la seconda sita nei pressi della Porta Postergola, la designazione originaria di quella oggi nota come porta Pistola (nell’appendice all’articolo ben si specifica l’origine del nome e la sua corruzione attuale).

Fondamentale dunque, per il lettore, è tener presente questo importante dato: il monastero di Sant’Eustachio e la chiesa di Sant’Eustachio de Posterga vanno necessariamente distinte e in questo contributo si espongono le ragioni probanti.

Un primo dato che introduce il tema sottolinea in maniera inconfutabile che le due realtà religiose sono state erroneamente assimilate dalla tradizione antiquaria: nella Platea del monastero di S. Lucia, del 1598, dopo le proprietà attigue all’edificio stesso, vengono elencate quelle presenti all’interno della contrada di Sant’ Eustasio nella Civita e, poco oltre, si parla dell’altra contrada omonima che, per non creare confusione, è nominata come Sant’ Eustasio sotto al campanile maggiore [ASM 1598, c. 208v].

Pertanto, sebbene questo articolo si proponga come obiettivo principale la diversa inedita lettura dell’ubicazione della chiesa di S. Eustachio de Posterga, e la sua descrizione, si ritiene necessario un preliminare accenno storico relativo al monastero di S. Eustachio (fi g. 1).

Il monastero di S. Eustachio

Il monastero benedettino di S. Eustachio comprendeva l’area subito a nord della Cattedrale di Matera, inclusa l’area del campanile. Le fonti documentarie a riguardo sono in numero esiguo, ma la sua memoria è piuttosto antica giacché si è tramandata a partire da Lupo Protospata. Questi, con il suo Chronicon [1102/1979], ci informa che nel 1082 l’arcivescovo Arnaldo aveva consacrato la nuova chiesa voluta dall’abate Stefano, ma ciò non esclude una precedente attestazione nello stesso sito. La cronaca ci dice anche, che nel 1093 ci furono due importanti avvenimenti: la morte di Eugenia, badessa del monastero di S. Lucia e Agata, per tradizione si racconta che si fece seppellire all’interno della chiesa di S. Eustachio, probabilmente per una profonda devozione al Santo patrono della città; e l’arrivo del Papa Urbano II che fu ospitato nel monastero per diversi mesi. Molto probabilmente l’attività del monastero di S. Eustachio non si estese oltre la metà del XIII secolo, considerando che una parte di esso fu venduta per la costruzione del palazzo arcivescovile.

Nel 1179 un terremoto danneggiò parte delle strutture e nel 1223 l’abate Nicola permise «che il palazzo arcivescovile si edificasse nella parte quasi diruta del monistero suo» data che di fatto segnò il suo declino [A. Copeti; p. 266], mentre un secolo dopo, molti luoghi di culto beneficiarono di donazioni testamentarie a sostegno dei lavori di ampliamento della Cattedrale. Si cita, quindi, la «fabrica della chiesa Metropolitana, un’altra onza, et un’altra alla fabrica di S. Eustachio di Matera» che invece probabilmente si stava ridimenzionando [De Blasiis 1635, f. 61r]. Il Verricelli ci informa, inoltre, che il monastero si estinse definitivamente in seguito all’uccisione dell’abate da parte di alcuni monaci. L’intera area fu smembrata nei secoli successivi e inglobata in altre costruzioni. Giuseppe Gattini Seniore, nei suoi appunti, trascrive un interessante atto datato 23 ottobre 1678 del notaio Francesco Recco, dal quale si evince che «Il monistero dell’Annunziata comprò dal Capitolo Maggiore la Chiesa di S. Eustachio, e la Cappella contigua di S. Lorenzo cherano scoverte, non essendovi rimasto altro che le muraglie all’intorno, concisterna nella contrada della Chiesa Maggiòre ò sia dell’ Arcivescovato vicino il Monistero del Conservatorio, il d.to Monistero dell’ Annunziata, il luogo scoverto, ed altri di d.to Capitolo chiamato volgarmente il largo di S. Eustachio, della Chiesa di S. Maria di Costantinopoli e strada pubblica per ampliare la d.ta Clausura per lo prezzo d.ti 250» [1800].

Dell’intero complesso monastico, materialmente oggi resta la cripta semirupestre a tre navate sormontate da nove cupolette rette da quattro pilastri centrali, con tracce di affreschi e qualche graffi to sulle pareti. 

La chiesa di S. Eustachio de Posterga

L’esistenza della chiesa di Sant’Eustachio, è dato inedito, ed è dimostrabile tramite i documenti qui riportati in sequenza cronologica, a partire dal basso medioevo fino all’epoca moderna. Per semplificare la lettura e rendere meglio accessibili i dati ho preferito talvolta riportare il regesto di alcuni documenti, in altri riproporne la traduzione dell’originale latino e di altri ancora la trascrizione del brano originario (fi g. 2; 2a).

La fonte documentaria più antica, che menziona la chiesa di S. Eustachio de Posterga, è il testamento del connestabile Angelo De Berardis del 1318, che riporta l’elenco delle chiese definite parrocchiali «dove si Battezzava, e si diceva messa». L’originale di tale documento, redatto in epoca angioina, non è giunto fi no a noi, ma ne ricaviamo la sua trascrizione da manoscritti seicenteschi. De Blasis cita «S. Staso de Perstergola»[De Blasiis 1635, f. 95v] nell’elencare le parrocchie e, per non fare confusione con il monastero, precisa che si tratta di «Santo Eustachio, vicino le case del quondam Mastro Roberto, (ch’è Santo Eustachio della Posterula)» [De Blasiis 1635, f. 61r].

Un documento del 1452, tra i tanti luoghi descritti nell’inventario dei beni della Cattedrale di Matera, riferisce anche di una grotta nel pittagio di «sancti Eustasii de pisterula» sita e posta in contiguità a quella del monastero di Santa Lucia; lo stesso documento cita una casa costruita, sita e posta nella Posterula, nel pittagio di Sant’Agata, accanto alla stessa chiesa e vicino alla porta della città che si apriva verso la Gravina. Nello stesso documento vengono elencate le proprietà in svariate contrade e, quando si nomina l’area della Cattedrale contestualmente si menziona l’attiguo pictagio di «sancti Eustasii Maioris», precisando “Maggiore” proprio per non fare confusione con l’altra contrada omonima [SNSP 1452, cc. 251v, 252r].

La specificazione rimarcata della localizzazione presso la postierla e il monastero non lascia dubbio sulla distinzione che deve farsi tra le due chiese di Sant’Eustachio.

Da un contratto enfiteutico di locazione del 1457 apprendiamo invece che don Andrea de Peczo è arciprete, rettore, governatore e amministratore della chiesa di «sancti Eustasii de Pistergula». Oggetto di tale contratto è un planchizio (una piccola area rocciosa) ubicato in un luogo dove si dice Lapistergula, nel pittagio della chiesa di «sancti Eustasii de Pistergula», accanto alla casa dello stesso sig. Andrea de Peczo e accanto alla grotta della chiesa di S. Eustachio pertinente alla medesima chiesa. Tale planchizio è infruttuoso e inutile e di nessun reddito e provento, perciò per ottenerne un qualche vantaggio cerca il consenso e la volontà di Marino (De Paulis), arcivescovo di Acerenza e Matera, per scavare una fovea con pagamento di un censo di cinque grani [SNSP 1457].

Nel Cinquecento la chiesa di S. Eustachio de Posterga è attiva: l’Arcivescovo Saraceno ci informa che, nel 1544, la Cappella S. Eustachio in Civita, il cui cappellano è padre Antonello De Angelis, è bene accomodata [Saraceno 1544, f. 52v]. Nel 1595 invece l’Arcivescovo Giustiniani ci riporta che: “Santo Staso o Eustachio con porta e chiavi ha un altare portatile con beneficio semplice di don Angelo Della Greca il quale ci ha mostrato una bolla, un documento pontificio, con i redditi e gli oneri.

È dotata di una campana e vi si celebra ogni domenica, la campana è senza tintinnabolo” [Giustiniani 1595-1596, f. 321r]. Datata al 1623, è l’unica e preziosa ed esaustiva descrizione degli interni della chiesa; ha la sua importanza anche nel fornire indicazioni e conferme sulla sua esatta ubicazione. Se ne riporta, pertanto, la trascrizione inedita: «Visito la chiesa ovvero cappella di S. Eustachio detta de posterula situata presso il monastero delle monache di S. Lucia nonché beneficio semplice di libera collazione dell’illustrissimo cappellano al presente Paolo Iuvenalis Salvatorium residente a Roma. La chiesa è coperta di tavole, travi e tegole. In verità tutto il tetto lascia passare l’acqua dentro la chiesa, il pavimento è fatto di tavole lapidee, l’altare è stato costruito da capo pertanto non ha propri paramenti ad esempio il pallio di seta rossa e la pianeta anch’essa di seta rossa non sono della chiesa invece le tovaglie appartengono ai canonici don Luca, don Antonio, don Caione i quali vi servono messa. Al di sopra dell’altare ci sono fi gure in muro [non sappiamo se potesse trattarsi di statue posizionate in nicchie ma molto probabilmente si trattava di affreschi] consunte a causa della vetustà. Al centro, sempre sopra l’altare, c’è una finestrella.

All’interno di questa chiesa ci sono altri tre altari portatili antichi di legno con una piccola tavola lapidea al centro.

Tutt’intorno nella chiesa ci sono figure di Maria che necessitano di essere riparate specialmente quelle che si trovano sul lato sinistro dell’ingresso della chiesa. Le porte sono chiuse con serratura e chiavi. Al di sopra della porta c’è un campanile con piccola campana. Sul lato sinistro predetto c’è una porticella attraverso la quale si scende ad un altro ambiente al di sotto della chiesa che è scuro per questo non serve a niente. Il vescovo dà ordine di riparare il tetto con tavole e travi, con tegole affinché l’acqua non defluisca più all’interno della chiesa. Poi ordina che sull’altare maggiore venga fatta una icona in tela con la fi gura di S. Eustachio, di provvedere al pallio, a delle tovaglie, di un altare portatile di legno moderno con candelabri e con una croce in legno e di murare la porta che si trova sul lato sinistro della chiesa e di fare il tutto entro il termine di tre mesi» [Antinori 1623-1624, c 20r] (fi g. 3).

Il beneficio di S. Eustachio de Posterga

Probabilmente la chiesa di S. Eustachio de Posterga cadde in disuso nella seconda metà del Seicento, come avvenne per molte chiese rupestri dei Sassi di Matera.

L’assenza di menzione nella Visita Pastorale del 1667 di mons. Lanfranchi comprova tale ipotesi. Molte chiese rupestri presenti nei Sassi invece «furono spogliate della dignità di luogo sacro» tra il 1678 e il 1702 dall’arcivescovo Antonio Del Ryos [Copeti 1780, p. 160]. Il beneficio di S. Eustachio de Posterga continuò però ad 32 MATHERA esistere, lo apprendiamo dalla dichiarazione del 1732 fatta dal «Maestro Rev. Lionardo La Greca arciprete di questa metropoli d’anni 80 solitiero. Possiede l’infradetti beni patrimoniali: un beneficio sotto il titolo di S. Eustachio la Postergola che li frutta annui ducati 16 col peso di celebrare una messa la settimana qual beneficio vi sta assignato per suo patrimonio» [ASM 1732, f. 530]. In un documento del 1740 il beneficio era ancora in suo possesso e tra gli altri beni di cui gode, annovera anche «due case alla contrada di S. Pietro de Morronibus, proprio sotto le case di D. Giambattista Gambaro, dov’era il monizaro; sono cascate e v’è il luogo vacuo» [ADG 1740, c3].

Il cronista Copeti evince, dal “Libro dei luoghi Pii del Catasto del 1754”, che dopo la morte dell’arciprete La Greca il beneficio della chiesa di S. Eustachio de Postergola fu incorporato al Seminario, fondato dall’Arcivescovo Vincenzo Lanfranchi nel 1656 [Copeti 1780, p 274].

La nascita dell’equivoco

Luigi De Fraja narra le origini e le vicende del Regio Convitto Nazionale di Matera e riporta i Benefici che furono annessi al Seminario di Matera tra cui anche quello di S. Eustachio de Posterula o de Posterga. Dalla descrizione della chiesa, però, ben si intende chiaramente la sua svista parlando lui della «chiesa a tre navi, ciascuna con tre cupole, presente nel Convento dei Benedettini presso la Cattedrale». A giustificazione cerca la possibile provenienza dell’appellativo «de Posterga o Postierla che era una porticina della città che s’apriva precisamente da quella parte mediante un corridoio che comunicava con la Civita» [L. De Fraia 1923, p. 170].

Tutte le pubblicazioni susseguite, hanno riportato questa errata intesa del De Fraja, mutando in sostanza l’intitolazione alla chiesa afferente al monastero esistito nelle vicinanze della Cattedrale e nel contempo ignorando l’esistenza dell’altra chiesa con medesima dedicazione, ma posta nelle vicinanze del monastero di S. Lucia alla Civita e quindi della Porta Postergola.

La contrada di S. Eustachio de Posterga subì le prime modifiche già nel 1632, quando l’arcivescovo Spinola fece ampliare il contiguo monastero di S. Lucia. Furono poi abbattute, nel 1933, altre strutture durante i lavori di allargamento di via Ospedale Vecchio e via Madonna delle Virtù, alcune cavità ipogee furono interrate al di sotto dell’attuale piazzale di Porta Pistola. Tali eventi, succedutisi a partire dal XVII secolo, hanno contribuito nel tempo a cancellare la memoria della chiesa, e della contrada di Sant’Eustachio assorbita dai toponimi S. Lucia Vecchia, Ospedale Vecchio e Porta Pistola.

Sant’Eustachio de Posterga: tracce superstiti

La struttura, fatiscente già ai primi del novecento, fu del tutto cancellata negli anni Trenta. Abbiamo, però, notizie del salvataggio di un affresco da parte del Senatore Domenico Ridola, ora conservato al Museo Archeologico, probabilmente raccolto nei primi anni Venti e che sul retro riportava una scritta visibile ancora negli anni Sessanta: «Affresco rinvenuto e portato via dal Sen. D. R. da una grotta sita nel giardino attiguo alla Chiesa di S. Lucia Vecchia di proprietà di don Francesco Di Noia» [La Scaletta 1966, p. 307]. Da un personale sopralluogo presso il museo non è risultato esserci alcun affresco con tale scritta o cartiglio sul retro, ma è possibile identificarlo con alcuni frammenti erratici di affresco, di ignota provenienza e conservati al momento nel cortile del museo. Nell’inventario dattiloscritto conservato al Museo Ridola è riportato che “provengono probabilmente dalle vicinanze di S. Lucia alla Civita e dovettero far parte di una chiesa o cappella demolita in occasione dei lavori ivi condotti nel 1933 a cura del Genio Civile dall’impresa Perrone”. Le irregolarità dei conci fanno pensare ad elementi raccolti dopo un crollo e la granulometria della calcarenite corrisponde alla fascia intermedia dei livelli geologici della calcarenite, ovvero poco più in basso della sezione entro cui questa diventa calcare, come lungo i grabiglioni, lungo via Madonna delle Virtù e Porta Pistola. I lacerti di affresco sono ormai irriconoscibili se non per un frammento che pare riportare un bambino (da una Madonna con bambino) o forse un cavaliere (frescati recuperati da Ridola in quella che, da La Scaletta, fu erroneamente identificata come S. Marco e che invece deve identificarsi come S. Eustachio de Posterga.

Per verificare l’esatta ubicazione della chiesa ho ricercato le proprietà Di Noia tra fine Ottocento e inizi Novecento, a partire dalla mappa catastale del 1875, ho analizzato tutte le particelle riportate nel Catasto Fabbricati in via S. Lucia Vecchia (Tavola n. 50) e ho constatato che solo alla partita 392 (Registro n. 128) corrispondono le proprietà della fam. Di Noia (particelle: 187; 189 e 191) cui poi si fa trasporto alla partita 2455.

Non sembrano esserci elementi discordanti nell’identificazione della Chiesa di Sant’Eustachio de Posterga presso l’area in cui ancora sopravvive il Monastero di Santa Lucia, entro i confini delle proprietà dei Di Noia, perfettamente ubicabili. Altrettanto definitiva sembra la distinzione con il monastero presso la Cattedrale, del quale rimane la chiesa rupestre che auspichiamo presto aperta al pubblico. Due gemme che puntellano i nostri antichi rioni, l’una oggi immateriale e l’altra ancora visibile, ma entrambe ancora floride pagine della nostra storia. Come il nostro Santo Patrono, cavaliere e protettore dei raccolti antichi, come riporta nel suo stesso bizantino nome.

Biografia



[ADG 1740] MATERA, Archivio Diocesano, Fondo Curia Vescovile, Serie Benefici e cappellanie, b. 1, fasc. 6, Nota dei benefici, legati e cappellanie eretti in questa città di Matera. Ms. a. 1740, c.3.
[Antinori 1623-1624] Matera, Archivio Diocesano, Fondo Curia Vescovile, Visite pastorali, b 1, fasc. 3, Visita Pastorale di mons. Fabrizio Antinori, ms 1623-1624, c 20r.
[ASM. 1598] Platea di S. Lucia, ms 1598, c. 208v.
[ASM 1732] Catasto Ostiario, 1732, f. 530.
[Copeti 1780] Arcangelo Copeti, Notizie della città e di cittadini di Matera, ms 1780, ed. a.c. di M. Padula, D. Passerelli, Matera, 1982, BMG, pp.160; 274.
[De Blasiis 1635] ASM, Gianfranco De Blasiis, Cronologia della città di Matera, ms 1635, ff. 61r; 95v.
[Gattini 1800] Giuseppe Gattini seniore, ms. in Biblioteca Provinciale di Matera, sez. luc. B187 [De Fraia 1923] Luigi De Fraia, Il Convitto Nazionale di Matera. Origini e vicende, 1923, p. 170.
[Giustiniani 1595-1596] Gravina di Puglia, Archivio Storico Diocesano, Coll. II W Visite 7, Visita di mons. Vincenzo Giustiniani Vescovo di Gravina nella Diocesi di Acerenza e Matera ms 1595-1596, f. 321r.
[La Scaletta 1966] (a cura di), Le Chiese rupestri di Matera, Roma, 1966, De Luca, p. 307.
[Protospata 1102/1979] Breve Chronicon, BMG, 1979, p.55.
[Saraceno 1544] Matera, Archivio Arcivescovile, Visita Pastorale di mons.
Giovanni Michele Saraceno, ms 1544, f 52v.
[SNSP 1452] Napoli, Società Napoletana di Storia Patria, Codice Diplomatico di Matera, Fortunato, vol. 56, Cattedrale, n. 872, Inventario dei beni del Capitolo della Cattedrale di Matera 1452 maggio 4, Matera, cc. 251v, 252r.
[SNSP 1457] Napoli, Società Napoletana di Storia Patria, Codice Diplomatico di Matera, Fortunato, vol. 56, Pergamene di Matera, Cattedrale, n. 884 dicembre 8, Matera.
Per la trascrizione e lettura di documenti si ringrazia Donatella Gerardi,
Angela Capurso e Silvia Padula. Per aver facilitato l’individuazione dei resti di affreschi conservati al Museo Ridola si ringrazia Annamaria Patrone.

Porta Postergola

di Raffaele Paolicelli

Ai piedi della Civita di Matera, lungo tutto il versante Est, era la Gravina a fungere da difesa naturale per la città. Tuttavia una stretta e ripida mulattiera, chiamata via di Scala ferrata, permetteva la discesa verso il fondo del torrente. È qui che si apre un laghetto perenne chiamato Gorgo o Jurio, anticamente considerato una «Fontana bona per essere a tempi secchi una acqua sorgente che mai diseccha quale ascie da vivi sassi, questo locho è per dui comodità a cittadini: per le donne a lavare i panni, l’altra a figlioli ove se imparano a natare» [Verricelli 1595-1596, pp 87-88]. Un guado, poi, permetteva l’attraversamento e la salita per mezzo di sentieri che conducevano all’altro versante della Gravina, soprattutto verso Murgia Capitolo e Murgecchia (o Murgia dell’Amendola). Detta via di Scala ferrata esisteva probabilmente sin dall’epoca preistorica e permetteva un rapido collegamento tra i due versanti della Gravina evitando i lunghi percorsi delle strade carraie [Lionetti - Pelosi 2011, pp. 136, 137]. Nel Medioevo il transito avveniva per mezzo della Porta Postergola.

La posterula altro non era che una piccola porta secondaria per l’accesso, d’emergenza o quotidiano degli abitanti, alla città murata. La sua corruzione Pistola, come oggi è toponomasticamente definita, è passata quindi tra posterla, postierla, postergola e infine Pistola. Il Volpe invece menziona un’antica usanza «di render sacre le mura e le porte con dedicarle agli Dei ed agli Eroi, una situata lunghesso il vecchio convento di S. Lucia, ed Agata, la consacrò al Dio Ercole presidente, ossia tutelare forse della Città gentile, come di tutta la Japigia, onde si disse Port-Ercola» [Volpe 1818, pp 15,16].

Era ubicata in posizione scoscesa sul ciglio della Gravina, nelle immediate adiacenze del monastero di S. Lucia e Agata alla Civita in un’area che segna il confine stratigrafi co tra calcare e calcarenite (fi g. 1). Non è sin dall’età del bronzo, l’uomo abbia cominciato a insediarsi laddove la roccia diventava maggiormente lavorabile, modellato le sue strutture cavando la calcarenite per uso abitativo, produttivo, religioso, sepolcrale ed estratto materiali da costruzione da usare in loco. La Porta originariamente sorgeva esattamente dirimpetto a un forno posto alle spalle del monastero di Santa Lucia. Nelle pertinenze del monastero vi era lo «Piancarello, e gettaturi, et è dalla fenestra, che si buttano le feccie, et sporchezze vicino la predetta Porta della Pistergola».

Quest’ultima era ubicata in posizione mediana rispetto alla strada che collegava direttamente la zona Pianelle al fondo della Gravina e quindi al Gorgo [ASM 1598, c. 22].

Nel 1632, in seguito all’ampliamento voluto dall’arcivescovo Giovanni Domenico Spinola, quell’area fu inglobata all’interno dei nuovi e altissimi muri. «Poi in tempo dell’arcivescovo d. Simeone Carafa furono fatte altre grandi abitazioni dentro il suddetto monastero per causa chè in esso le monache stavano ristrette ed anguste, che poi da tali ampliazioni d’edifici lò suddetto abitano con melior modo e comodità, avendo dalla parte di dentro vedute, mediante le finestre, e loggie tutte sopra la Gravina e scoprono qualche parte della campagna, della città persino Altamura e lò suddetto arcivescovo fece loro ampliare il choro, efe fare assai luminosa la chiesa, che adesso si vede benemente ornata di diverse cappelle con organo, sacristia adeguata alla chiesa e li soffitti di essa fatti nuovamente con pittura e così esa di meglior modo e sta bene ornata d’argenteria e di molti sacri apparati, sì per lì giorni festivi come per lì feriali, e solenni, fatto da esso monastero e da varie monache» [Nelli 1751, cap. 35°].

«Porta Postergola quasi post tergu, perché è all’ultimo della Città, e di là si cala per lì dirupi della Gravina per strade molto scoscese ad imitazione della Porta Posterula ch’era in Roma». In seguito all’ampliamento del monastero tale porta fu spostata e «tirata per l’istessa riviera da cento passi in là» in un luogo meno scosceso [De Blasiis 1637, 5r-5v].

L’area di Porta Postergola è stata in buona parte indagata dall’archeologa Eleonora Bracco che, nel luglio 1933, rinvenne reperti, con differenziate cronologie, durante i lavori relativi alla costruzione di via Madonna delle Virtù, strada destinata a congiungere il Sasso Barisano con il Sasso Caveoso. Si rinvennero tombe con fossa tagliata nella calcarenite, con inumati rannicchiati e corredi databili all’epoca arcaica. Si recuperarono poi frammenti di ceramica d’impasto dell’età del Bronzo attestandone nell’area una fase di frequentazione. Il confronto immediato per Eleonora Bracco fu con la ceramica delle tombe di Murgia Timone e con due piccoli vasi di Timmari relativi a un momento di transizione tra l’Età del Bronzo e l’età del ferro [Bracco 1935, pp. 107-124 ](fi g. 2).

L’area, oggi destinata a parcheggio con il manto di breccia, attende una sua giusta connotazione architettonica, posta com’è nel cuore del percorso degli antichi rioni, e secondo la lezione che ci ha lasciato la dottoressa Bracco, donna e archeologa di indubbio valore, l’indagine nel fondo della terra diventa imprescindibile azione quale rivelatrice di storia.

Bibliografia


[ASM 1598] Platea di S. Lucia, ms 1598, c. 22r.
[Bracco 1935] Eleonora Bracco, Rinvenimenti di età varia in località Ospedale Vecchio, in NSc 1935, pp. 107-124.
[De Blasiis 1635] ASM, Gianfranco De Blasiis,
Cronologia della città di Matera, ms 1635, f. 5r, 5v.
[Lionetti-Pelosi 2011] G. Lionetti, M. Pelosi,
Considerazioni sui complessi rupestri artefatti preellenici della murgia materana, in atti del IV
Convegno internazionale sulla civiltà rupestre, 2009, pp 136, 137.
[Nelli 1751] ASM, Domenico Nicolò Nelli, Cronaca di Matera, ms 1751, cap. 35°.
[Verricelli 1595-1596] Eustachio Verricelli, Cronica de la città di Matera nel Regno di Napoli, ms 1595-1596, a. c. di M. Moliterni, C. Motta, M.
Padula, Matera, 1987, BMG, pp. 87; 88.
[Volpe 1818] Memorie storiche profane e religiose su la città di Matera, Napoli, 1818, Stamperia Simoniana, pp 15, 16.