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giovedì 25 marzo 2021

Il ricordo del sommo Poeta Dante...

 Dantedì, la giornata nazionale dedicata a Dante: cos’è e perché si celebra il 25 marzo

Un giorno dedicato interamente al Sommo Poeta fiorentino, che quest’anno ricade nell'anno del 700esimo anniversario della sua morte. Celebrazione istituita già lo scorso anno dal ministro della Cultura Dario Franceschini in una data molto particolare: quella dell’inizio del suo viaggio allegorico nella Divina Commedia.

Si festeggia il 25 marzo il Dantedì, la giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri. Una ricorrenza voluta per la prima volta nel 2020 dal ministro della Cultura Dario Franceschini e che quest’anno cade nell'anniversario dei 700 anni dalla morte di Dante, avvenuta tra il 13 e il 14 settembre del 1321.

Poiché non si conosce la data esatta della nascita di Dante Alighieri, la giornata a lui dedicata è stata istituita il 25 marzo: si tratta, secondo gli studiosi, del giorno in cui lo stesso Dante, accompagnato da Virgilio, inizia il viaggio della Divina Commedia.

Sono diverse le attività e le iniziative organizzate per celebrare la giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri. Anche quest’anno, a causa del coronavirus, molte di queste saranno virtuali ma non meno numerose. Già nei giorni che hanno preceduto il 25 marzo, il Ministero ha coinvolto le scuole con una serie di eventi: laboratori di realtà virtuale, videogiochi, app sulla geografia dantesca. E ancora, declamazioni, versi in rap, endecasillabi cantati in coro. Ma non solo scuole: anche in altre sedi sono previsti incontri, letture e seminari dedicati a Dante. Tra gli eventi principali, quello della lettura del canto XXV del Paradiso da parte di Roberto Benigni, alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e del ministro della Cultura, Dario Franceschini, al Salone dei Corazzieri del Quirinale. Iniziative anche all’estero: a Parigi, con una lettura in lingua francese e italiana di alcuni brani tratti dalla Vita Nuova di Dante, l'Ambasciata d'Italia festeggia il Dantedì nella cornice del Teatro Siciliano dell'Ambasciata italiana nella capitale francese.

Il più grande poeta italiano di tutti i tempi scompariva in esilio a Ravenna tra 13 e il 14 settembre 1321. In occasione del “Dantedì”, la giornata a lui dedicata, abbiamo provato a selezionare alcuni dei frammenti del suo capolavoro, “La Divina Commedia”, ormai da tempo proverbiali.

Ai tempi di Dante, a Firenze come nel resto d'Italia si viveva un momento di transizione. Ci si muoveva infatti da una lunga stagione di crescita demografica ed economica per andare incontro alla cosiddetta "crisi del Trecento", che attendeva in agguato; e si passava inoltre dallo sviluppo trionfale delle democrazie comunali al loro fallimento, dovuto a un'eccessiva violenza e faziosità della lotta politica, di cui fu tra l'altro vittima anche Dante. Tutto ciò, in quel di Firenze così come in molte altre città della Penisola, portò, tra le altre cose, alla sostituzione del regime comunale con la Signoria, ossia con la dittatura dell'uomo forte.

Dante si fece un curriculum da combattente, da politico e da "sommo" poeta: questa poliedrica carriera fu un'eccezione o egli è invece da considerarsi come un tipico uomo del suo tempo?

Be', la vera eccezione sta proprio nell'aggettivo "sommo": Dante è un grandissimo poeta ai nostri occhi, 700 anni dopo la sua scomparsa, ma a ben vedere era famoso già prima della morte e tutti parlavano della sua Commedia, anche se scrivere testi poetici non era così insolito a quell'epoca, almeno per chi apparteneva a una élite sociale e intellettuale. Ma è soprattutto in qualità di politico e di combattente, pronto ad andare alla guerra, che Dante fu un tipico uomo del suo tempo, o meglio un tipico cittadino di un Comune italiano. In questo, la sua esperienza fu infatti simile a quella di innumerevoli altri personaggi che segnarono la sua epoca.

Dante, nella sua Commedia, ricorda in qualità di testimone oculare diversi episodi legati alla guerra tra le fazioni dei guelfi fiorentini e quella dei ghibellini aretini, con riferimento appunto alla Battaglia di Campaldino del giugno 1289 (vinta dai guelfi), alla devastazione del territorio di Arezzo seguita alla vittoria e alla resa finale nel castello di Caprona, giunta due mesi dopo. Tutto ciò è un segno di quanto le esperienze fatte in quei mesi gli fossero rimaste impresse, tanto che egli ne parlò ancor più diffusamente in una serie di lettere che oggi purtroppo non abbiamo più, ma che furono viste e commentate dall'umanista Leonardo Bruni nel Quattrocento. Ebbene, quel che emerge da tali lettere è che Dante fosse particolarmente orgoglioso di aver combattuto in battaglia, considerando la cosa come una delle prove della sua maturità, del suo essere diventato, finalmente, un uomo adulto e un cittadino responsabile.

Dopo la morte di Dante circolava la leggenda secondo cui, in mezzo alle carte che aveva lasciato a Firenze quando nel 1302 fu condannato all'esilio, la moglie e gli amici avrebbero un giorno ritrovato i primi sette canti della Commedia, facendoglieli poi pervenire. Sarebbe stato allora che Dante avrebbe deciso di riprendere in mano quel progetto abbandonato. Tuttavia, si tratta appunto di una leggenda. Nella realtà, anche se non si può escludere che già prima dell'esilio Dante avesse cominciato a pensare alla stesura di un grande poema in italiano, furono sicuramente le amarezze della lontananza e la volontà di riscatto cresciuta dentro di lui che gli diedero la potenza creatrice da cui poté nascere la Commedia come oggi la conosciamo.

Quando la peste fece la sua comparsa Dante era ormai morto da quasi trent'anni, ma già prima, ossia quand'egli era ancora in vita, si erano manifestati molteplici e allarmanti segnali di crisi. L'Europa era sovrappopolata e non si riusciva più a garantire a tutti un tenore di vita decente: c'erano sempre più poveri, non sufficientemente nutriti e il cui stato di salute si fece rapidamente preoccupante, e c'erano carestie sempre più frequenti, che creavano allarme in tutta la società. Oltre a ciò, si fa spesso riferimento - anche se non si hanno ancora prove sicure - a un mutamento climatico che avrebbe condotto a un consistente abbassamento delle temperature e a un aumento della piovosità, contribuendo ulteriormente a mettere fine ai lunghi e floridi secoli della crescita medievale.

Assolutamente sì! Innanzi tutto, Dante ha donato alla letteratura, e alla lingua italiana, il suo più grande capolavoro, tre secoli prima - giusto per fare un esempio - che Shakespeare facesse la stessa cosa con la lingua inglese. In questo modo egli ha fissato per sempre il fiorentino usato nella Commedia come "lingua letteraria" di tutta l'Italia. Dopodiché è davvero impressionante riscontrare quanti modi di dire che usiamo ancora oggi siano già lì testimoniati. A me piace particolarmente quel passo del Canto XXXII dell'Inferno in cui Dante, descrivendo i dannati imprigionati nel lago ghiacciato, scrive: "là dove i peccatori stanno freschi", coniando così l'espressione, tuttora diffusa, "stai fresco!".