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I Sassi di Matera

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giovedì 20 dicembre 2018

Ferrandina protagonista del risorgimento Lucano


Ferrandina ed i Mille



Ferrandina nelle vicende storiche del risorgimento lucano.
Ricordando i fatti del 16 luglio 1860

di Enzo Scasciamacchia

L’eroica impresa dei Mille, a metà luglio del 1860, pur ancor limitata alla sola conquista della Sicilia, aveva infiammato gli animi dei liberali europei e italiani ma, in special modo, dei lucani e pugliesi. In provincia di Bari, il 17 luglio, si dettero convegno a Gioia del Colle in casa di Vito Nicola Resta, i membri del comitato dell’Ordine provinciale, dei Capi-Sezione e dei Capi-Distretto di Terra di Bari e i rappresentanti di Terra d’Otranto e di Capitanata, eludendo la vigilanza della polizia borbonica per deliberare le proposte del Comitato Lucano e determinare quanto si dovesse fare per sostenere la insurrezione regionale. L’assemblea gioiese deliberò di preparare un contingente di duecento volontari in vista di uno scoppio di una rivolta; di disporre armi e munizioni per tener testa alle milizie regie; di spedire, tramite il fondo costituito dai volontari, 3.000 ducati al Comitato Lucano, che si era insediato, nei primi di luglio, a Corleto Perticara grazie, anche, alla sua ubicazione centrale tra la Puglia, la Calabria e la Campania, e 1.340 per pagare i volontari che sarebbero partiti al comando del Comitato centrale di Napoli. Se i preparativi alla sommossa fervevano dall’altra parte però, come è facile intuire, la polizia borbonica vigilava con grande attenzione e repressione. A Napoli, mentre in Sicilia la rivolta garibaldina era già ad un buon punto, il Comitato centrale napoletano si spaccava per due differenti correnti di pensiero, formando due Comitati: uno d’Ordine e l’altro d’Azione. Il Comitato d’Ordine palesava il disegno che, prima dello sbarco in Calabria di Garibaldi, un’insurrezione nel Mezzogiorno e specie a Napoli divampasse in senso unitario e in adesione alla politica dei Savoia; mentre il Comitato d’Azione, di idee repubblicane-mazziniane premeva che l’impresa garibaldina nel Meridione fosse la premessa per la liberazione di Roma e Venezia. Questa conflittualità si diffuse, chiaramente, anche in tutto il Sud d’Italia provocando, come è facile immaginare, feroci dispute e polemiche.
Pur in un momento così tumultuoso per il futuro del nostro Paese la Basilicata dimostrò una forte adesione alla rivolta garibaldina. Il Comitato Lucano che si era insediato a Corleto Perticara, centro di eccellenza nella propaganda e nella cospirazione, per diffondere ulteriormente le idee progressiste fondò dieci sottocentri: Rotonda, Senise, Castelsaraceno, Tramutola, Tricarico, Miglionico, Ferrandina, Potenza, Genzano e Avigliano. Se il 18 agosto 1860 passerà alla storia come l’inizio della ribellione lucana è giusto ricordare, però, che già il mese prima e, precisamente il 16 luglio del 1860, nella cittadina di Ferrandina, in provincia di Matera, ebbe luogo un’insurrezione popolare di grande clamore «sia per la determinazione insolita messa in atto nello svolgersi dei fatti, sia per la grande risonanza che ebbe sul Comitato centrale di Corleto Perticara e sulla stessa direzione di Napoli». A Ferrandina, durante i festeggiamenti della Madonna del Carmine, un gruppo di giovani, capeggiato dal noto liberale di Ferrandina, Carmine Sivilia, iniziò ad inneggiare alla libertà con grida di «viva Garibaldi, viva Vittorio Emanuele». Il coinvolgimento e l’entusiasmo divenne totale tanto che le forze dell’ordine non riuscendo a capire quale fosse l’esatta entità dei rivoltosi, ritennero prudente non intervenire». La autorità civili e militari rimasero sbigottite. Un corriere fu mandato a Matera per chiedere rinforzi alla forza pubblica. Il 18 luglio, infatti, una quindicina di gendarmi, si riteneva che la sollevazione fosse circoscritta a pochi rivoluzionari, pur facendo intendere che sarebbero arrivati altri 70 militari, era pronta a dar fuoco ai rivoltosi. Proprio nella piazza più importante di Ferrandina, in quella del Largo oggi piazza Plebiscito, questi imposero alla folla di «togliersi i cappelli, in segno di riverenza, e di gridare viva Francesco II». Ma ormai la sommossa era nell’animo dell’intera cittadinanza. Dalle strade vicine giunsero da diverse direzioni i patrioti più intraprendenti, come l’avvocato Carmine Sivilia, Giacomo De Leonardis, Giuseppe Assetta, Domenico Scorpione, Felice Bitonti, Raffaele Masciulli, Nicola Petruccelli, Leonardo Murante, Nicola Provinzano, Raffaele ed Eligio Lanzillotti, Giovanni ed Antonio Grassi e molti altri, i quali con fierezza sfidarono il corpo preposto a sedare la rivolta gridando ad alta voce «viva l’Italia, viva Garibaldi». Immediatamente lo stesso fermento si propagò in tutti i presenti tanto da divenire un potente e assordante boato che inneggiava a Garibaldi. La forza dell’ordine dovette piegare la testa.
Vinta dall’euforia collettiva insurrezionale, pensò di ritirarsi di buon ordine in attesa di tempi migliori. Ma gli eventi incalzavano in favore della tanta sospirata unificazione del Paese. Il tarantino Nicolò Mignogna, uno dei volontari che si arruolò fra i Mille, fu mandato da Garibaldi in Basilicata affinché preparasse il terreno per l’insurrezione della regione.
Insieme al patriota Giacinto Albini, divise la Basilicata in dodici Centri d’Azione dipendenti da quelli di Corleto Perticara, mettendoli a loro volta in comunicazione con i Comitati pugliesi. Il colonnello barlettano Camillo Boldoni, inviato dal Comitato d’Ordine napoletano, doveva assumere il comando militare del movimento insurrezionale. Si avviavano i preparativi della grande rivolta lucana del 18 agosto del 1860.
Da ricordare anche uno dei più grandi rivoluzionari della storia Ferrandinese, Giuseppe Venita, rivoluzionario Lucano (Ferrandina, 19 Marzo 1744 – Calvello, 13 Marzo 1822) è stato un patriota italiano, uno dei più valorosi condottieri dei moti carbonari del 1820 in Basilicata. Nel 1798 divenne sergente e passò al servizio del governo della Repubblica partenopea. In seguito, si arruolò nell'esercito borbonico apparentemente come valoroso combattente ma, in realtà, fu una spia. Costituì una vendita carbonara assieme al fratello Francesco, con l'obiettivo di ripristinare la Costituzione soppressa dal re Ferdinando I e tentando di condurre il popolo lucano verso ideali patriottici. Fu inviato il generale Roth per reprimere le sue attività rivoluzionarie. Venita si rifugiò a Calvello ma venne scovato dal contingente austriaco e condannato a morte assieme ad altri cospiratori, incluso suo fratello.






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