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I Sassi di Matera

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giovedì 30 agosto 2018

San Domenico, il Monastero


Ferrandina ancora protagonista





Convento di San Domenico
Ferrandina

LA CHIESA ED IL CONVENTO

I Parte


     Nelle immediate vicinanze della "Cittadella", dove dominavano i palazzi delle famiglie più distinte di Ferrandina, nei primi decenni del '700 s'innalza l'imponente mole del complesso conventuale di San Domenico, dove si trasferiscono i padri domenicani dalla dimora primitiva vicino alla chiesa della Madonna de Loreto. Il progetto dell'opera è stato affidato all'ingegnere D'Andrea Moltò di Roma, e per la costruzione giungono maestranze specializzate dalla Puglia e dalla Campania, e su tutti mastro Di Mauro e mastro Nicola, Carleo di Cava dei Tirreni. La grandiosità del progetto e la complessità dei lavori vedono il traguardo solo nel 1790, a pochi anni dalla soppressione del 1809. Oggi, il complesso monumentale accoglie la Biblioteca Comunale, Il Fondo Antico, il Liceo Scientifico, e il chiostro viene adibito per attività culturali e rimane contenitore naturale ideale per ospitare mostre di alto livello. I padri domenicani “dal loro primo arrivo, ovvero dalla ristrutturazione della badia di Ognisanti alla costruzione della prima dimora e della prima chiesa e, in seguito della chiesa e del grandioso convento di S. Domenico,... sono vissuti sotto il continuo assillo dei lavori da realizzare“. Dopo alcuni anni dal trasferimento dell’abitato di Uggiano nel territorio di Ferrandina, il papa Leone X concede ai padri domenicani la possibilità di trasferirsi nel nuovo paese ”con tucti lloro beni, prerogative et privilegi, et in loco assignando per detta università possano edificare ... la invocatione di Sancta Maria de Loreto, la chiesa et monasterio“, i cui lavori saranno completati il 1517.  Da questo momento la chiesa di Santa Maria di Loreto ospiterà il più grande nucleo conventuale della Basilicata. Non passano molti anni ed il convento dà segni di instabilità , per cui i padri devono ricorrere una prima volta (1614) a nuovi lavori di restauro e consolidamento. Cinquant’anni dopo i problemi di stabilità si ripresenteranno ed i padri domenicani non sanno se proseguire nei lavori di ripristino o attingere ad altri lasciti per costruire un nuovo convento. In una relazione fatta sotto giuramento e raccolta dal notaio si rileva come il sopralluogo di un capo ingegnere e di alcuni mastri fabricatori abbia sottolineato i gravi rischi di crolli e la notevole spesa (duemila e cinquecento ducati) per le opere di consolidamento e riparazione. Dopo un ulteriore sopralluogo del capo ingegnere Giacomo Luvino di Milano, i domenicani pervengono alla decisione di costruire un convento su un terreno più prossimo alla cittadella: “il convento mal fondamentato sin dal suo principio, si vede cadere nelle principali sue parti, come di fatto oggi si è reso... e dar principio all’edificio di un nuovo monastero”. La determinazione di costruire viene data da una donazione a favore del ferrandinese padre Arcangelo de Leonardis, rettore del convento di San Domenico di Barletta. Con rogito del notaio Mastropietro vengono donati “due luoghi, seu hortali, siti nella contrada della cittadella proprio sotto le mura d’essa di rimpetto a tramontano”. Dopo il beneplacito dell’ Arcivescovo di Matera, il padre priore Emanuele de Leonardis, familiare del rettore, invita il vescovo di Giovinazzo, monsignor Giacinto Chiurlia, a porre la prima pietra del convento. Il progetto è grandioso, ma le finanze per poterlo realizzare sono limitate. I lasciti e i sacrifici (riduzione del numero dei frati) non sono sufficienti a portare a termine l’opera: vengono emesse delle ordinazioni con le quali si impone di non distorcere per altri fini (i pranzi per i familiari, il nuovo priore, il predicatore generale, ricevere ospiti e forestieri, cavalcature), ma che tutto confluisca nel bilancio per la costruzione del convento, così come il progetto è stato redatto in Roma dall’ingegner D’Andra Moltò . Tutti i risparmi devono servire per la paga quotidiana e compra di mattoni e calce. Dapprima il P. Mastro generale, fra Agostino Pipia, e poi il suo successore, fra Tommaso Ripol, danno un forte impulso per la contemporanea costruzione del convento e della chiesa: subentrano nuove maestranze pugliesi e napoletane che oltre a portare avanti, sin dalle fondazioni, la costruzione del convento, si obbligano di “perfezionare l’intero convento eseguendo i lavori in conformità del progetto redatto nel 1730 dal Sig. Cavaliere D. Michelangelo De Blasio, regio ingegnere della città di Napoli”. Nel 1753 i lavori di costruzione arrivano alla fine, ma per le ragioni economiche che hanno interessato tutta l’impresa, bisognerà attendere altri 20 anni per vedere l’ultimazione della nuova chiesa, i cui interni vengono decorati a stucco dal varesino Tobacchi (1774), mentre il napoletano Pasquale Sebastiano esegue l’altare maggiore e i pavimenti (1775-76). Forse solo nel 1790 il convento e la chiesa saranno veramente funzionanti in tutte le loro parti, ma in meno di venti anni, i sacrifici, protrattisi per quasi un secolo, saranno resi vani con la soppressione dell’ordine monastico nel 1809 e, con esso, si disperderanno i 2421 volumi della biblioteca e i tanti beni mobili ed immobili riportati nel pregevole lavoro di Padre Carlo e nella ricca documentazione fotografica a corredo della pubblicazione curata da Barbone e Lisanti.

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