Ferrandina ancora protagonista
Convento di San Domenico
Ferrandina
LA CHIESA ED IL CONVENTO
I Parte
Nelle immediate vicinanze della
"Cittadella", dove dominavano i palazzi delle famiglie più distinte
di Ferrandina, nei primi decenni del '700 s'innalza l'imponente mole del
complesso conventuale di San Domenico, dove si trasferiscono i padri domenicani
dalla dimora primitiva vicino alla chiesa della Madonna de Loreto. Il progetto
dell'opera è stato affidato all'ingegnere D'Andrea Moltò di Roma, e per la
costruzione giungono maestranze specializzate dalla Puglia e dalla Campania, e
su tutti mastro Di Mauro e mastro Nicola, Carleo di Cava dei Tirreni. La
grandiosità del progetto e la complessità dei lavori vedono il traguardo solo
nel 1790, a pochi anni dalla soppressione del 1809. Oggi, il
complesso monumentale accoglie la Biblioteca Comunale, Il Fondo Antico, il
Liceo Scientifico, e il chiostro viene adibito per attività culturali e rimane
contenitore naturale ideale per ospitare mostre di alto livello. I padri
domenicani “dal loro primo arrivo, ovvero dalla ristrutturazione della badia di
Ognisanti alla costruzione della prima dimora e della prima chiesa e, in
seguito della chiesa e del grandioso convento di S. Domenico,... sono vissuti
sotto il continuo assillo dei lavori da realizzare“. Dopo alcuni anni dal
trasferimento dell’abitato di Uggiano nel territorio di Ferrandina, il papa
Leone X concede ai padri domenicani la possibilità di trasferirsi nel nuovo
paese ”con tucti lloro beni, prerogative et privilegi, et in loco assignando
per detta università possano edificare ... la invocatione di Sancta Maria de
Loreto, la chiesa et monasterio“, i cui lavori saranno completati il 1517. Da questo momento la chiesa di Santa Maria di
Loreto ospiterà il più grande nucleo conventuale della Basilicata. Non passano
molti anni ed il convento dà segni di instabilità , per cui i padri devono
ricorrere una prima volta (1614) a nuovi lavori di restauro e consolidamento.
Cinquant’anni dopo i problemi di stabilità si ripresenteranno ed i padri
domenicani non sanno se proseguire nei lavori di ripristino o attingere ad altri
lasciti per costruire un nuovo convento. In una relazione fatta sotto
giuramento e raccolta dal notaio si rileva come il sopralluogo di un capo
ingegnere e di alcuni mastri fabricatori abbia sottolineato i gravi rischi di
crolli e la notevole spesa (duemila e cinquecento ducati) per le opere di
consolidamento e riparazione. Dopo un ulteriore sopralluogo del capo ingegnere
Giacomo Luvino di Milano, i domenicani pervengono alla decisione di costruire
un convento su un terreno più prossimo alla cittadella: “il convento mal
fondamentato sin dal suo principio, si vede cadere nelle principali sue parti,
come di fatto oggi si è reso... e dar principio all’edificio di un nuovo
monastero”. La determinazione di costruire viene data da una donazione a favore
del ferrandinese padre Arcangelo de Leonardis, rettore del convento di San
Domenico di Barletta. Con rogito del notaio Mastropietro vengono donati “due
luoghi, seu hortali, siti nella contrada della cittadella proprio sotto le mura
d’essa di rimpetto a tramontano”. Dopo il beneplacito dell’ Arcivescovo di
Matera, il padre priore Emanuele de Leonardis, familiare del rettore, invita il
vescovo di Giovinazzo, monsignor Giacinto Chiurlia, a porre la prima pietra del
convento. Il progetto è grandioso, ma le finanze per poterlo realizzare sono
limitate. I lasciti e i sacrifici (riduzione del numero dei frati) non sono
sufficienti a portare a termine l’opera: vengono emesse delle ordinazioni con
le quali si impone di non distorcere per altri fini (i pranzi per i familiari, il
nuovo priore, il predicatore generale, ricevere ospiti e forestieri,
cavalcature), ma che tutto confluisca nel bilancio per la costruzione del
convento, così come il progetto è stato redatto in Roma dall’ingegner D’Andra
Moltò . Tutti i risparmi devono servire per la paga quotidiana e compra di
mattoni e calce. Dapprima il P. Mastro generale, fra Agostino Pipia, e poi il
suo successore, fra Tommaso Ripol, danno un forte impulso per la contemporanea
costruzione del convento e della chiesa: subentrano nuove maestranze pugliesi e
napoletane che oltre a portare avanti, sin dalle fondazioni, la costruzione del
convento, si obbligano di “perfezionare l’intero convento eseguendo i lavori in
conformità del progetto redatto nel 1730 dal Sig. Cavaliere D. Michelangelo De
Blasio, regio ingegnere della città di Napoli”. Nel 1753 i lavori di
costruzione arrivano alla fine, ma per le ragioni economiche che hanno
interessato tutta l’impresa, bisognerà attendere altri 20 anni per vedere
l’ultimazione della nuova chiesa, i cui interni vengono decorati a stucco dal
varesino Tobacchi (1774), mentre il napoletano Pasquale Sebastiano esegue
l’altare maggiore e i pavimenti (1775-76). Forse solo nel 1790 il convento e la
chiesa saranno veramente funzionanti in tutte le loro parti, ma in meno di
venti anni, i sacrifici, protrattisi per quasi un secolo, saranno resi vani con
la soppressione dell’ordine monastico nel 1809 e, con esso, si disperderanno i
2421 volumi della biblioteca e i tanti beni mobili ed immobili riportati nel pregevole
lavoro di Padre Carlo e nella ricca documentazione fotografica a corredo della
pubblicazione curata da Barbone e Lisanti.
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