Ferrandina ancora protagonista
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Convento di San Domenico
Ferrandina
LA CUPOLA
II Parte
Da tempi molto remoti si sono
costruite cupole, senza far ricorso a formulazioni numeriche di meccanica
applicata alle costruzioni; la pratica costruttiva millenaria ha generato
soluzioni strutturali molto ardite, come la cupola del Brunelleschi o quella di
San Pietro. L’architetto avrebbe continuato per molto tempo a dare fondamento
alle proprie soluzioni costruttive, facendo affidamento sulle sole cognizioni
pratiche. Infatti per determinare lo spessore del piedritto, seguendo un
procedimento medievale protrattosi a tutto il Seicento, divide l’intradosso di
una cupola in tre archi uguali e prolunga il lato sino ad un punto simmetrico.
Bisognerà attendere il XVII secolo ed ancor più il XVIII per avere degli studi
di meccanica, che con formule matematiche avrebbero indicato la migliore
curvatura di una volta. Per Galileo la curva, che forma una fune sospesa ai due
estremi e soggetta al peso proprio, è una parabola. Egli aveva già provato che
la traiettoria di un proiettile, in assenza di resistenza dell’aria, è una
parabola. Questo però non è vero per la curva di sospensione di una catenella
flessibile. Ma il sapere matematico e quello costruttivo non si incontreranno
ancora per un secolo. I costruttori di cupole del Seicento continueranno a far
riferimento unicamente alle regole di Vitruvio. Solo nel momento in cui si
infittiscono gli incarichi per diagnosticare cedimenti e lesioni, gli
architetti chiedono aiuto a rigorose applicazioni delle scienze matematiche.
Saranno Huygens (che a 17 anni afferma che la curva non è una parabola, ma non
ne fornisce l’equazione), Leibniz e Bernoulli a dimostrare che la curva,
erroneamente definita parabola da Galileo e da loro battezzata catenaria, è una
curva non algebrica. La catenaria, rappresentante una catena appesa, e la
parabola risultante, quando alla catena si appendono dei pesi (ad esempio, i
tiranti che sorreggono le campate di un ponte), coincidono nel vertice. Nella
catenaria agiscono solo sforzi di trazione, mentre se la capovolgiamo otteniamo
una curva molto usata in architettura nella quale sono presenti solo sforzi di
compressione. Si comprende perciò come la catenaria sia la forma migliore di
una curva. Dirà Girolamo Masi molti anni dopo, nel 1788: “non debbo tralasciare
d’avvertire per quello riguarda l’assoluta sussistenza delle volte che in quei
luoghi, nei quali non bisogna renderne il contorno gradevole, potranno gli
architetti egregiamente, secondo l’avviso dei più valenti matematici, della
curva catenaria”. Due grandi studiosi di curve fanno rilevare che tra le carte
degli architetti non compaiono calcolazioni inerenti la curvatura e lo spessore
da conferire a una volta o a una cupola. Bisognerà attendere la fine del secolo
per avere le regole per le cupole semplici compilate da Carlo Fontana. Due
altri contributi significativi al sistema di calcolo delle volte furono quelle
di Bernardo Vittone, progettista di molte e grandi strutture a cupola, e del
matematico Charles Bossut, secondo il quale una cupola soggetta al solo peso
proprio descrive una curva non coincidente con la catenaria. L’accademico di
San Luca nelle sue Istruzioni afferma che la regola migliore per il
dimensionamento dei piedritti è quella di topografi tanto impiegata dai
medievali. Facendo tesoro degli insegnamenti dell’opera di Guarini e Juvarra,
ed attingendo ai disegni di Carlo Fontana, Vittone pubblica le Istruzioni
elementari (Lugano, 1760) e le Istruzioni diverse (Lugano 1770). Così nel XVIII
secolo mentre fioriscono le ricerche per dare fondamento matematico alla
costruzione delle cupole, a Ferrandina viene a compimento il convento di San
Domenico con la sua grandiosa cupola maiolicata. Quale metodo è stato seguito
per la costruzione? Se si escludono gli studi più recenti di Ermenegildo Pini e
di Bossut, posteriori alla data di costruzione considerando che la figura è
senz’altro quella di un arco policentrico, i metodi che il progettista del
convento ferrandinese deve aver tenuto in giusta considerazione sono quelli
della calotta ellissoidale, nota a quei tempi come cerchio deformato, disegnata
da Antonio da Sangallo, e quello proposto dal Vittone. Partendo dal rilievo
riportato da Barbone-Lisanti, prendiamo come base di partenza il diametro della
cupola, ossia l’asse minore pari a 7,23 metri , e l’altezza di 4,37 metri , che a meno
di arrotondamenti è pari ai 3/5 di 7,23 ossia i 6/5 del raggio. Quindi asse
maggiore e asse minore stanno in un rapporto di 6 a 5. A questo punto, se
prendiamo il semicerchio di San Domenico e moltiplichiamo per 6/5 l’altezza di
qualsiasi punto del perimetro, siamo nelle condizioni di generare la cupola. A
queste conclusioni erano arrivati nel Rinascimento sia Albrecht Dürer sia
Antonio da Sangallo che costruiscono le coniche partendo dal cerchio
regolarmente deformato. A questo punto seguendo un procedimento usato proprio
dal Sangallo per la cupola di San Pietro, tracciamo una linea di corda dal
piano di imposta della cupola fino all’apertura della lanterna e misuriamo
l’angolo fra la corda e la verticale. È facile verificare che, al variare del
diametro e dell’altezza, quanto più questo angolo è piccolo tanto più il
profilo della cupola si avvicina alla linea del filo a piombo, riducendo così
la spinta laterale. L’angolo d’inclinazione della cupola di San Domenico, non
diverso da quello del Bramante per la cupola vaticana, misura 40°. C’è da
presumere che il progettista ricorrendo al cerchio deformato abbia inteso
ovviare all’effetto ottico dell’arco a sesto acuto e garantire una maggiore
stabilità . Se ai tempi di Antonio da Sangallo la cupola ellissoidale era insolita,
due secoli dopo la tecnica progettuale aveva dato un fondamento numerico
all’architettura rinascimentale. In detto Monastero, è custodito anche un
archivio storico di inestimabile ricchezza Culturale, esso ha sede nella già
citata Biblioteca Comunale, ma poco curato e poco divulgato per motivi di
sicurezza, nascosto persino alla Comunità, che ben poco sà di questa
documentazione storica riguardante le origini della propria Città.
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