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I Sassi di Matera

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giovedì 22 novembre 2018

Monastero di San Francesco d'Assisi



Ennesimo articolo sul quotidiano Roma Cronache Lucane




MONASTERO
DI SAN FRANCESCO D’ASSISI
Ferrandina
I Parte

Sorge in posizione dominante la Valle del Fiume Basento, all’ingresso dell’abitato di Ferrandina che insiste su di un insediamento antico pluristratificato, ben noto per i numerosi rinvenimenti di reperti e strutture venuti in luce nei decenni passati, come risulta dalla carta di distribuzione dei ritrovamenti archeologici. Sebbene nell’area del Monastero non siano state esguite ricerche archeologiche sistematiche, e qui attestata una frequentazione in età antica. Infatti, da notizie bibliografiche, si conosce che nell’anno 1966 fu eseguito dall’archeologo Dinu Adamesteanu un breve saggio di scavo nella zona antistante alla chiesa, che risultò interessata da sepolture medievali, le quali avevano in parte sconvolto e riutilizzato materiale litico di tombe più antiche. Da alcuni elementi di corredo e frammenti ceramici e bronzei di provenienza sporadica, sembra che l’area intorno al Monastero sia stata destinata a necropoli almeno nel corso del VII secolo A.C. di questo ritrovamento, purtroppo, non vi è agli atti d’ufficio documentazione alcuna che possa attestare la precisa ubicazione della necropoli e le caratteristiche delle sepolture individuate. I Padri Francescani Minori Riformati, si fermarono a Ferrandina nel primo decennio del XVII secolo, nonstante l’opposizione dei Domenicani e dei Cappuccini, infatti, il permesso a eleggere la cappela dedicata alla Madonna delle Grazie ha proprio luogo Sacro, fu loro concesso con decreto dell’Arcivescovo di Matera e del Vicario Foraneo della Città, D. Gaspare De Leonardis. In seguito il luogo si rivelò inadeguato per costruirvi un Monastero, tanto che i riformati si trasferirono nella chiesa di Santa Maria del Carmine. In questo luogo, a spese dell’università, sotto il Pontificato di Paolo V e il Governo di Padre Pietro da Novi, custode della provincia di Basilicata, nel 1614 iniziarono i lavori di trasformazione del romitorio in un vero Monastero. Il complesso, sebbene costruito con fondi messi a disposizione dall’università, apparteneva ai Padri Francescani Riformati del Monastero di Aversa e costituisce uno degli esempi più interessanti della zona, sia quale polo di emergenza formale, sia quale protagonista di eventi storici e religiosi che l’hanno caratterizzato nel tempo. L’impianto del Monumento denuncia chiare trasformazioni, aggiunte a conseguenti mutamenti di funzioni che hanno consentito allo stesso un passaggio qualificante attraverso i secoli. Fino a quache decennio fa, sull’architrave dell’ingresso al Monastero, si leggeva la data 1100, ma un esame attento delle strutture interne sembra escludere, anche per il nucleo più antico, la possibilità di una datazione così remota. La pietra dell’architrave, di conseguenza, è stata asportata da un monumento più antico della zona, probabilmente già in rovina all’epoca della costruzione del Monastero. La pratica del riciclo del materiale è d'altronde testimoniata dal ritrovamento, durante il restauro della chiesa negli anni 80 del secolo scorso, di un impastatoio fittile, inserito nelle strutture murarie, a zampa di cavallo, recante sul corpo tronco-conico un’iscrizione disposta a spirale, riportante al nominativo un nome maschile seguito del patronimico citato al genitivo dorico; KAINAΣ ΨAMΩ. Nel 1723, all’epoca di Fra Teodoro di Pisticci, durante i viaggi ispettivi nei conventi Francescani di Basilicata, furono compilate due platee del Monastero nelle quali si diceva che lo stesso è dotato al piano inferiore di refettorio, cucina, focagna, altra stanza annessa per la conservazione degli utensili (ambienti tuttora ben leggibili), mentre al piano superiore vi erano 24 celle e una ricca biblioteca con testi di Patristica, Teologia, Scolastica e Morale.
                      





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