Ed ora vi presento i Reali...
CHIESA MADRE
SANTA MARIA DELLA CROCE
Ferrandina
Parte IV
ISABELLA E FEDERICO D’ARAGONA
“Al contrario del fratello
maggiore Alfonso, erede al trono, Federico godeva di simpatia e di popolarità,
che scaturiva dalla fama del suo carattere mite e prudente, del suo tratto
raffinato, del suo amore alle lettere”. E’ il ritratto che di Federico
D’Aragona fa il Pontieri. La scultura lignea sembra rispecchiare nel volto
queste peculiarità. Il volto della Regina Isabella sembra, invece, velato di
melanconia, avendo tenuto presente, evidentemente, lo scultore le vicissitudini
a cui andò in contro Isabella Del Balzo, andata sposa, appena ventiduenne, a
Federico D’Aragona, precisamente il giorno 18 Novembre del 1487, durante la
prigionia del Padre, Pirro Del Balzo. Isabella, “chiara per innocenza e soavità
di costumi, per virtù e bellezza”, era stata fidanzata per tre anni del
fratello di Federico, Francesco, morto improvvisamente e quasi
contemporaneamente alla madre e al fratello della stessa Isabella.
Vive con Federico la drammaticità
delle vicende della guerra che si scatena su Napoli e sull’Italia tutta. Costretta
a rifugiarsi in una provincia lontana, poi di nuovo principessa di casa
regnante, e d’ un tratto, inaspettatamente, per la morte del giovanissimo
nipote, regina, e, non appena salita al trono la guerra ricomincia per la
ribellione del principe di Salerno.
Il Re, con lo scettro nella mano
destra, indossa un corto mantello sotto una tunica corta a pieghe. La Regina
Isabella, sua seconda moglie, è rappresentata con un lungo vestito a vita alta
e un libro nella mano sinistra. Le due statuette lignee si possono datare alla
fine del secolo XVI, anche se in più casi nel Meridione certi stili seguono con
notevole ritardo epoche posteriori, ma se non ci sarà la contro prova di un
documento che porti una data posteriore, non si può scendere oltre il
Cinquecento. Lo confermano l’impianto, i costumi, lo stile.
Non si può dire che lo scultore
sia un grande maestro, ma non per questo le due sculture mancano di un
sensibile e vivace intaglio colto e raffinato, attento nella modulazione dei
piani, nella naturalezza dei movimenti, nella caratterizzazione dei volti
semplici e austeri, come si addice a personaggi di tanto riguardo. Ancora più
notevole è la bellezza della policromia, la preparazione della mestica è
finissima, la stesura dell’oro e la sua delicata bolinatura sono eccellenti, il
colore a tempera a uovo delle carni luminose e trasparenti malgrado l’usura del
tempo, tutto fa pensare, infine, ad una provenienza da un centro colto e
raffinato, ancora capace di esprimersi con garbo ed eleganza. La Grelle
attribuisce le sculture lignee ad Altobello Persio di Montescaglioso, autore
anche del Presepe ligneo della Cattedrale di Matera. Quest’ultimo eseguito nel 1534 in collaborazione con
Sannazzaro di Alessano, è espressione, come sostiene La Grelle, della totale
adesione alle strutture morfologiche della cultura locale, adesione confermata
nelle effigi di Isabella e Federico D’Aragona, come nelle sculture in legno dorato
di S.Pietro ad Atella, di S.Pietro e Paolo ad Oppido.
AQUILA BICIPITE
Non è facile intuire le ragioni
per le quali, nella prima metà del secolo XVII, si pensò ad una scultura lignea
raffigurante un’aquila bicipite, come custodia del prezioso reliquiario
Quattrocentesco del Legno Santo di Croce. Fini ad allora il reliquiario o era
stato conservato in qualche custodia di altare o era stato sempre esposto ai
fedeli. Nella visita apostolica fatta dal vescovo Giustiniani a Ferrandina il
26 Novembre 1595, tra gli altri rilievi è detto, “nell’altare maggiore si facci
la custodia per tenere il SS.mo Sacramento. In quell’altare ove oggi sta il
SS.mo Sacramento si metteranno le reliquie, si farà un velo nuovo che sia bello
e decente e se metterà al reliquiario dove sta il Legno di S.ta Croce”. Nel
documento non viene fatto alcun cenno dell’aquila bicipite che troviamo circa
il 26 Maggio 1726, quando il vescovo Positano visita, tra l’altro, “Altare
della Croce con cancelli lignei, il fornice di tutto l’altare (l’alzata) con
colonne, baldacchino con l’aquila bicipite nella quale è conservata la Croce”. Entro
queste due date bisogna collocare la committenza e la realizzazione dell’aquila
bicipite, che da un punto di vista stilistico, si può datare intorno alla prima
metà del secolo XVII. E’ opportuno fare qualche cenno sulla simbologia di
questo rapace, per un ipotetico tentativo di accostamento al Legno Santo della
Croce. Il Neubecher dice:
“ Sia per ragioni di natura
biologica sia per le loro caratteristiche intrinseche, i grandi rapaci
predatori (gli Acipitridae, come preferiscono definirli gli zoologi), sono
predestinati a rappresentare il mondo divino, in contrapposizione al mondo
umano. Di conseguenza, non stupisce affatto che l’aquila ed altri rapaci, siano
ormai diventati il simbolo per eccellenza del cielo e delle divinità. Si può,
pertanto, attribuire all’aquila una simbologia religiosa. Nel nostro caso,
tuttavia, siamo in presenza di un’aquila bicipite che già presso gli Ittiti era
simbolo di sovranità. Tale simbologia, unita a quella imperiale, figura nello
stemma del Sacro Romano Impero, in quello degli Imperatori Bizantini, degli
Aragonesi, dei Borboni. Osserva lo storico locale S. Centola a proposito
dell’aquila bicipite, “ emblema simboleggiante l’unione spirituale dè due
imperi d’Oriente e d’Occidente, uniti sotto lo scettro nel grande Costantino”. La
tipologia iconografica abbastanza rara se non unica, almeno in Basilicata, è la
dose maggiore di questa scultura. Colpisce subito la sua dichiarata “araldicità”
espressa con la scelta del soggetto contenitore di marca prevalentemente laica.
Se non si fosse conservata la portella ovale, che dichiara nell’intaglio le
forme dell’oggetto conservato, si sarebbe pensato sicuramente ad uno stemma
araldico che avesse perso le proprie insegne. E invece proprio la sua insegna,
l’effige del reliquiario del Legno Santo di Croce, ci indirizza verso la giusta
esegesi. Pur tuttavia, l’insieme mantiene, alla fine, la sensazione di una
valenza marcata.
Il soggetto, riconducibile
direttamente nell’ambito del repertorio araldico alle più note raffigurazioni
di stemmi regali ed imperiali per la presenza di un corpo bicipite, ad
un’attenta lettura, presenta delle caratteristiche abbastanza interessanti dal
punto di vista stilistico ed iconografico. La raffigurazione dell’aquila
s’ispira, specie nell’impostazione della testa, della coda e degli artigli, ad
esemplari molto più antichi, vicini a quelli di alcune stoffe bizantine.
Il rilievo centrale, poi,
riproduce il modello del reliquiario in argento e cristallo, come se, se ne
fosse voluta la continua ostensione per la venerazione dei fedeli. E tale
convinzione è suffragata dalla presenza, ai due lati, di due angeli genuflessi
sul tipo dell’adorazione del SS.mo Sacramento, di rigida osservanza
controformata. La reliquia fu probabilmente portata in occidente dalla terra
Santa alla fine del XIII secolo da Roberto Sanseverino: agli inizi del 400 fu
commissionata dagli stessi Sanseverino il reliquiario d’argento, come risulta
dagli stemmi posti sulla base della stauroteca. La custodia lignea fu
probabilmente eseguita tra il 1630 e il 1633, quando la cattedrale fu
ricostruita e la stauroteca venne dotata di una cornice raggiata (la custodia
di cuoio del reliquiario porta la data 1630). Non conosciamo il nome
dell’autore, ma tanto il modellato dell’intaglio, quanto il tipo di doratura,
e, soprattutto, la raffigurazione centrale farebbero pensare ad un
rappresentante della folta schiera d’intagliatori che nel XVII secolo operarono
in Basilicata alle dipendenze dei vescovi e ordini religiosi. Un accostamento
stilistico e tipologico potrebbe istituirsi con le due formelle superiori della
porta lignea della chiesa di S. Giovanni Battista ad Acquaformosa in Calabria.
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