Ormai non si contano più...
Questo è il I° articolo di una serie di 7, protagonista Storia, Arte, Cultura e tesori nascosti della nostra Chiesa Madre Santa Maria Della Croce
Detta chiesa situata in un piano con atrio spazioso avanti, con più strade pubbliche e larghe che la circonda, cioè due da settentrione a Mezzogiorno, e un’altra da oriente a occidente senza che fossero a detta chiesa annesse ad altre cose di particolari, ma solo circondata dalle strade… Con queste parole si ricorda l’ubicazione della chiesa nel
<< Ragguaglio dello Stato della Chiesta Madre >> redatto a Ferrandina nel 1756.
Orientata a Nord-Est, la chiesa prospetta la più antica Piazza della città definita << LARGO >> nel Settecento e oggi Piazza del Plebiscito: su di essa si affacciano Palazzi di edificazione Ottocentesca, tra i quali quelli ove hanno attualmente sede il Comune e la Prefettura.
Ancora libera sui fianchi laterali con i vicoletti di Via Venita e di Via Fratelli Bandiera, in parte occultata nella zona absidale da corpi di fabbrica che nel tempo le si sono addossati.
La chiesa sotto il titolo di Santa Maria della Croce, è dedicata a San Lorenzo, titolare dell’antica Chiesa Madre di Uggiano, le cui tracce sono ancora visibili nella zona Nord del Castello: con la miracolosa reliquia del Sacro Legno della Croce, con la sua storia essa appartiene a Ferrandina e alla sua tradizione più radicata.
La reliquia, gelosamente custodita nella Chiesa, è venerata con gran fede dai Ferrandinesi: secondo la tradizione essa fu donata da Federico D’Aragona alla Chiesa Madre di Uggiano in seguito ad un evento miracoloso; (trasportata poi nella Città di Ferrandina, fu riposta nella Chiesa Maggiore nell’anno 1495).
Circa le origini dell’edificio, gli storici locali forniscono notizie probanti ma non certe.
Il Centola, il Caputi, ed altri studiosi, sono concordi nel collegare cronologicamente la costruzione della fabbrica all’edificazione della Città, avvenuta per opera di Federico D’Aragona nel 1494.
Ciò sarebbe attestato da alcune epigrafi, tra cui quella ancora collocata sulla porta d’ingresso del Municipio.
Non va trascurata a tal proposito, la notizia riportata nel Ragguaglio del 1756 dove leggiamo: Ferrandina decorata col titolo di Città da Federico Re Cattolico D’Aragona di F.M. e dal medesimo fondata nell’anno del Signore 1492: stante la rovina dell’antico Castello di Uggiano, ove detto Re stava, assieme col Popolo; e dal mentovato puranche si fondò detta matrice e Collegiata Chiesa sotto il titolo di S.Croce.
Gli studi risaltano che il 1492, anno presunto della fondazione della Città, sia anche l’anno d'inizio dei lavori della Chiesa Madre e testimonia chiaramente l’atto di committenza stipulato a Napoli il 07/12/1491 tra L’Ill.mo Sig. D. Federico D’Aragona Principe di Altamura e Fiorillo Simonetto, Maestro di muro che s'impegna ad eseguire insieme a Tagliaferri Baldassarre, Pier Giovanni de Stasio e Carlo Tagliaferri << L’opera della Chiesa Maggiore e dei muri di cinta della fabbrica di Ferrandina in Basilicata.
A conferma di tutto ciò, rimane ancora oggi visibilissima, incisa sull’architrave di un portale tompagnato su fianco sinistro della Chiesa, la data del 1492.
A partire dai primi anni, del XVI secolo, la chiesa s'ingrandisce e si trasforma.
Da una carta del 29 Agosto 1521, apprendiamo che il Sindaco della Città, Nicolaus de Porfido, insieme ad altri eletti (particulares) a causa della pestilenza che ha colpito la Città, decidono in quel giorno di riunirsi nella Chiesa Madre, dove deliberano di << fare un voto con cui si obbligano donare ogni anno al Preziosissimo Legno di Santa Croce, cento libre di cera lavorata, mendas decem di olio per la lampada e quattro once di carlini d’argento per eventuali lavori di ampliazione ed innovazione >>.
Nel 1593 si costruisce la cappella dello Spirito Santo fondata da Felice Tortamano con un legato di 400 ducati: nel 1597, quella di San Lorenzo, per il pio legato di Margherita de Leonardis, che destinava la somma di 100 ducati, per gli edifici di essa (cappella) e per abbellirla.
E’ difficile ricostruire l’aspetto che doveva avere la nostra Chiesa alla fine del Cinquecento sulla base degli “Atti della Visita Apostolica” di Vincenzo Giustiniani datata 26 Novembre 1595, con certezza sappiamo che la Chiesa era dotata di quattro Cappelle e sei Altari, ma nulla di preciso sulla loro ubicazione.
Si ricorda che il Campanile non è stato completato e si raccomanda di rifare le scale della Sacrestia.
Nel 1633, per iniziativa dell’Arciprete D. Tommaso Purpura, la Chiesa viene restaurata, ed “internamente rifatta”.
Una lunga iscrizione sull’arco interno della Porta Maggiore documentava l’avvenuto restauro e l’importante cerimonia di consacrazione per mano del Cardinale Gian Domenico Spinola, Arcivescovo di Acerenza e Matera.
E’ possibile constatare il rinnovamento avvenuto all’interno della Chiesa con la Visita Pastorale del 1642, nella quale essa appare arricchita di una serie nutritissima di cappelle con ben sedici Altari, oltre il Maggiore.
Si parla per la prima volta di un “Coro con organo” del “Fonte Battesimale” con ciborio indorato ex novo, e di preziosi Argenti tra cui 14 Calici e 2 Pissidi, conservati in Sacrestia.
Ma è soprattutto nel corso del XVIII secolo, nei momenti cioè di ripresa economica e d’incremento demografico per Ferrandina, in concomitanza di un certo fervore edilizio che caratterizza la Città, tra ripristini e nuove costruzioni (basta pensare alla nuova Chiesa di S. Domenico) che la Chiesa subisce i più grossi interventi di restauro.
La Sacra Visita espletata nel 1726 da Mons. Positani ci restituisce, se pure approssimativamente, l’immagine della Chiesa nel primo quarto del secolo con precise indicazioni sulle misure, (lunga palmi 190, larga 100, alta 60), sulle strutture essenziali “le navate laterali sono coperte a volta e la mediana lignea” e sull’orientamento delle porte “due porte piccole nel prospetto Nord e Sud e due finestre nei detti prospetti, una porta con la finestra circolare vetrata con altre due vetrate nel prospetto occidentale”.
La mutata condizione oggi della Chiesa, notevolmente ampliata sull’asse longitudinale delle navate, è da ascriversi agli anni cinquanta e non oltre il 1756 se nel Ragguaglio sullo stato della Chiesa Madre di quell’anno, le navate appaiono più lunghe di 20 palmi (rispetto al 1726) e con le tre porte d’ingresso disposte sul prospetto di Piazza Plebiscito “una porta grande con mostra di marmo intagliato, che corrisponde avanti il grande atrio che vi sta e sporge all’Aquilone e le altre due laterali poste una all’oriente e l’altra all’occidente con mostre di pietre polite”.
Ulteriori restauri seguiranno negli anni settanta a cura dell’Arciprete Sammauro, al quale si deve la demolizione dell’antica crociera “che abbraccia come l’attuale, il coro, il presbiterio, il cappellone del Sacramento e tutto il vano sino all’arco maggiore, su cui poggia la cupola, e che poi fu ricostruita dalla pietà dei fedeli in forma snella ed elegante per cura del Dotto e zelante Arciprete Sammauro”.
Di tali lavori è memoria, oltreché nelle storie locali, in alcuni inediti documenti conservati nell’Archivio Diocesano di Matera: del 16 Settembre 1771 e infatti l’atto testamentario del Canonico D. Gasparre Montefinese che dispone il lascito di “tomola 10 di grano e tomola 10 di fava che la fabbrica della Matrice Collegiata Chiesa, che ora si sta facendo per ripararla e maggiormente abbellirla ed ingrandirla”.
Del 71 – 74 – 76 sono invece le copie di alcuni dispacci inviati all’Università di Ferrandina al Re (Ferdinando IV di Borbone), perché nella situazione di pericolo in cui la Chiesa si trova, provveda ad evolvere l’onorario destinato al predicatore dell’Avvento e della Quaresima per la riparazione del Tempio.
I lavori dovettero protrarsi a lungo se in un documento del 24 Luglio 1784 si ricorda che “per impedimento della fabbrica” il capitolo è costretto ad officiare nel coro del Cappellone del SS. Sacramento.
Solo nel 1785 si cominciò a pensare di completare i restauri con le decorazioni in stucco del coro e della cupola, la cui commissione veniva affidata nel giugno di quello stesso anno a Giuseppe Tabacco di Milano.
Ma dell’arredo settecentesco, con gli altari, le preziose suppellettili, gli affreschi dei dodici Apostoli dipinti sui pilastri delle navate, dettagliatamente descritto nella succitata fonte del 1756, oggi rimane ben poco.
Infatti, gli interventi ottocenteschi, intrapresi dall’Arciprete Ruggero Lisanti subito dopo il terremoto del 1857, con la demolizione delle navate e delle volte nuovamente ricostruite, mutarono notevolmente l’aspetto interno della Chiesa.
Una relazione, redatta dallo stesso Arciprete il 27 Giugno 1872 ci informa che l’appalto dei lavori veniva affidato a Serafino Sanni nel 1857 “con istrumento stipulato tra questi ed il Sindaco Pro-tempore.
Senonchè non adempiendosi dall’appaltatore le stipulate condizioni, ad istanza del Sig. Arciprete R. Lisanti venne domandato lo scioglimento del Contratto, e l’opera della ricostruzione venne spinta innanzi in linea economica”.
Infatti, avviati con i contributi del Clero e di alcuni devoti che si tassarono secondo le loro possibilità, i lavori dovettero procedere tra lentezze e difficoltà se in una lettera del 21 Giugno 1879, indirizzata al Regio Sub Economico di Acerenza, il Capitolo si lamenta per la mancanza di fondi, “nello stato attuale non trattasi di restauri di lieve momento, ma della riedificazione delle tre navate perollate dal terremoto del 1857, però l’opera è quasi al suo termine essendosi ricostruite le sopradette navate che ore si stanno decorando in stucco.
Per lo stato in cui il tempio si trova occorrono ancora £. 4.000 per terminare lo stucco, 4.200 per il pavimento, per alcuni piccoli restauri allo stucco della crociera £ 300 (+ 600), in tutto occorrono £ 9.100 per terminare l’intero lavoro”.
Un’epigrafe posta sull’arco della porta maggiore, con la data del 1887 ricorda l’opera dell’Arciprete Ruggero Lisanti.
Appena dieci anni dopo, nel 1896, per opera del suo successore, D. Giuseppe Spirito, si completavano gli stucchi della crociera e si rifaceva il pavimento del presbiterio con la munifica elargizione della Sig.ra Giannoccari D’Arecca.
Le vicende successive sono legate ad interventi di carattere statico, tra cui il più recente, terminato appena alcuni mesi fa, a cura del Provveditorato alle Opere Pubbliche.
La Chiesa presenta un interno a croce latina a tre navate con pilastri quadrangolari ed archi.
Le navate laterali hanno cinque altari ciascuna, al centro della crociera si eleva una cupola su pennacchi, contraffortata lateralmente da un transetto a bracci contratti.
Nella navata centrale, la trabeazione al disopra dei pilastri sorregge i grandi fasci di archi a botte schiacciata che dà movimento alla volta.
Sopra ognuna delle arcate vi è una finestra arcuata e tale fila superiore di finestre si ripete sui lati perimetrali delle navate minori.
Quest’ultima, seguendo un sistema di copertura barocco, se pure di nuova costruzione ottocentesca, presenta su ogni campata, cupolette ellittiche la cui disposizione, conformandosi a quella della cupola centrale, segue l’asse più corto della Chiesa.
Entrando, attirano interesse una coppia di acquasantiere in pietra grigia del XVI secolo e la crociera spaziosissima e luminosa per le innumerevoli finestre della cupola, dell’abside e del transetto.
L’abside circolare fa da sfondo all’altare maggiore in marmi policromi, posto in opera nel 1777, ai lati del coro sulle mensoline di due nicchie in stucco ricavate sulla parete, frontalmente disposte, le sculture in legno di Federico D’Aragona ed Isabella Del Balzo, fondatori della Chiesa, sugli altari del transetto due tele del Lanari raffiguranti rispettivamente la Resurrezione e il Rinvenimento della Croce.
Sul lato destro del presbiterio vi è un locale di passaggio alla sacrestia.
In questo vano, oggi disadorno (ed in origine esso stesso sacrestia) vi è la scala di accesso al campanile.
L’interno della sacrestia di forma rettangolare, con volta a botte unghiata, è fornita di armadi, inginocchiatoi in severo e composto gusto ottocentesco.
Attiguo alla sacrestia, sul lato sinistro, vi è l’antico oratorio del SS.Crocifisso.
Citato per la prima volta nel 1737, l’oratorio (eretto dal Capitolo per commodo di celebrare quei sacerdoti che sono indisposti ed infermi) è ascrivibile al XVII secolo per la presenza di un affresco seicentesco della Crocifissione dipinto sulla parete destra del locale, oggi ad uso dei parrocchiani.
Vi si accede attraverso un portale in pietra i cui stipiti ornati con motivi di trofei, maschere e figure umane dalle barbe fitoforme ricordano modelli di gusto rinascimentali prodotti in area locale.
In questo ambito si collocano anche i rosoni e i tre portali di facciata, al centro il maggiore costituito da un arco a sesto pieno, affiancato da colonne scanalate e scolpite su basi parallelepipede ornate con testa di angeli.
In alto una classica trabeazione a dentelli che sorregge il rilievo di una Adorazione della Croce.
I portali laterali, pur semplificati, ne replicano i motivi ornamentali, le lesene sull’alto piedistallo con specchiatura decorata, l’architrave con fregio classico.
All’angolo Sud-Ovest s’innesta la breve torre campanaria a base quadrata.
Alta 29 metri, a tre ordini di piani separati da semplici cornici a listello.
Il primo e il secondo sono aperti su ogni lato da una monofora, il terzo visibilmente rifatto, da arcate a pieno centro.
Il profilo della copertura, che non è escluso fosse in origine cuspidato, risulta sicuramente alterato dopo i restauri ottocenteschi, se nella descrizione che ce ne dà l’Arciprete Lisanti, il campanile, prima del terremoto del 1857 risulta alto ben 139 palmi, cioè sei metri in più rispetto all’attuale.
A proposito del Campanile, l’Arciprete Lisanti dice, “esiste il Campanile ed è a palmi 139 di altezza.
E’ stato varie volte danneggiato dal fulmine, come pure dall’ultimo terremoto del 1857.
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