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FINE DEL BRIGANTAGGIO
Il 25 luglio
1865, l’esercito di Crocco venne sterminato, lungo l’Ofanto, dalle truppe del
generale Pallavicini. Rimasto senza forze, Crocco cercò di scappare nello Stato
Pontificio, memore del sostegno che il papa aveva dato, in chiave
anti-piemontese, alla corona borbonica. Ma Crocco non era un politico molto
furbo: i tempi erano cambiati; il Governo lealista in esilio a Roma
non gli aveva perdonato l’abbandono del tentativo di riconquistare la
Basilicata; il Papa non voleva creare motivi di ulteriore frizione con i
Savoia, ed era soprattutto preoccupato dall’estensione del brigantaggio nel suo
stesso territorio, in particolare in Ciociaria. I soldati del Papa lo
catturarono a Veroli. Durante la sua detenzione nello stato papale Crocco ebbe
anche contatti con Francesco II, esortandolo ad intervenire in suo favore
poiché aveva combattuto in suo nome, ma il sovrano, secondo le dichiarazioni
del brigante, non volle intromettersi per non compromettersi con le
potenze straniere. Dopo vari passaggi da un carcere all’altro, Crocco fu infine
rinchiuso a Potenza. Nel 1873 venne condannato a morte, ma la sentenza venne
immediatamente commutata, con decreto regio, in lavori forzati a vita, forse,
come sostiene Del Zio, per pressioni politiche francesi. Morì nel carcere di
Portoferraio, dopo aver più volte ritrattato il suo passato, arrivando ad
elogiare Re Vittorio Emanuele II, e chiesto una grazia che non arrivò mai, nel
1905, all’età di 75 anni. Dopo l’arresto di Crocco, rimasero soltanto alcuni
focolai di brigantaggio nel materano, costituiti da bande che non facevano
parte dell’esercito di Crocco. La banda di Rocco Chirichigno, detto
“Coppolone”, fu sconfitta nel febbraio 1865; l’ultima banda operante in
Basilicata, quella capeggiata da Eustachio Chita, detto “Chitaridd’”, resisté
fino al 1896, in condizioni di estremo isolamento nella zona circostante le
gravine di Matera. La repressione militare sabauda fu selvaggia. Ecco alcuni
degli episodi più brutali: A Trivigno, una pattuglia dell'esercito italiano
fece un rastrellamento, fucilò alcuni prigionieri ed emanò un bando che
prevedeva il perdono a chi si fosse costituito alle autorità. 28 ricercati si
presentarono e, nonostante la promessa, furono fucilati senza processo. A Ruvo
del Monte, dopo l'assedio di Crocco in cui vennero uccise 17 persone tra
possidenti e liberali, un reparto di 1500 soldati ordina la perlustrazione e la
fucilazione di un numero imprecisato di ruvesi. Dopo lo sterminio, il
comandante Guardi ordinò ai notabili del posto di provvedere ai bisogni della
truppa e, davanti al loro rifiuto, comandò il loro arresto con l'accusa di
attentato allo stato e manutengolismo. A Lavello, 20 briganti furono fucilati
da un contingente di ussari. Altri eccidi si registrarono a Venosa e Barile.
Con la legge Pica, in meno di sei mesi, in Basilicata furono incarcerate per
sospetto di aderenza ai briganti 2.400 persone; di questi, 525 persone, tra cui
140 donne, finirono al confino. Non vi è una stima del numero di morti, di
villaggi e case distrutte, di persone recluse a vita o inviate al confino nella
sola Basilicata. Ma certamente furono numeri da guerra civile. Dopo questa
sconfitta, inizierà il crescente distacco economico del Mezzogiorno dal Centro
Nord, l’emigrazione, il soggiogamento delle classi popolari meridionali.
Nascerà la questione meridionale.
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