lunedì 15 febbraio 2021
venerdì 12 febbraio 2021
martedì 9 febbraio 2021
Storia Antica "delli Meroli" di Ferrandina
LA STRADA PUBBLICA DELLI MEROLI
(FERRANDINA)
Si tratta di uccelli dall'aspetto robusto e massiccio, muniti di testa dalla forma arrotondata con fronte sfuggente, becco conico, forte e dalla punta lievemente adunca, collo robusto, lunghe ali digitate, zampe forti e coda dalla forma squadrata e di media lunghezza.
Nel complesso, la cornacchia nera ricorda molto (in special modo i giovani, che a parte le dimensioni medie sono virtualmente indistinguibili) l'affine corvo imperiale, rispetto al quale mostra dimensioni medie inferiori, aspetto più slanciato (tale caratteristica risulta tuttavia evidente solo se le due specie vengono messe a confronto diretto e non viste separatamente), coda squadrata anziché cuneiforme e iridescenza del piumaggio verde piuttosto che viola: la cornacchia grigia risulta perfettamente identica nell'aspetto e nelle dimensioni alla cornacchia nera, ma è molto semplice da differenziare da quest'ultima per la diversa colorazione del torso. In volo, inoltre, la cornacchia nera risulta molto simile al corvo nero (che al suolo è facilmente riconoscibile per la faccia nuda), che tuttavia presenta ali più lunghe e becco più massiccio e che quindi appare più corto.
Il piumaggio, come del resto intuibile dal nome comune, si presenta totalmente di colore nero, lucente e dalla consistenza sericea: sul corpo sono presenti sfumature metalliche di colore verdastro, ben evidenti quando l'animale è nella luce diretta.
Il becco e le zampe sono di colore nero: gli occhi, invece, sono di colore bruno scuro.
La cornacchia è un uccello diurno, che vive in stormi anche numerosi, talvolta in associazione coi tendenzialmente più solitari corvi neri: durante il giorno, questi uccelli passano la maggior parte del tempo al suolo o fra i rami dei cespugli alla ricerca di cibo, facendo poi ritorno nel tardo pomeriggio verso alberi-posatoio dove poter passare del tempo a socializzare e soprattutto passare la notte al riparo da intemperie ed eventuali predatori.
Il richiamo della cornacchia nera consiste in un forte e roco craaak, più acuto rispetto a quello del corvo imperiale e più grave e vibrante rispetto a quello del corvo nero, ripetuto generalmente tre volte e con intensità più o meno crescente a seconda dell'eccitazione dell'animale: durante le vocalizzazioni, spesso l'animale tende la testa in avanti e arruffa le sottili penne della gola, simili a una barba. Alcuni esemplari, specie se in cattività, riescono a riprodurre alcuni suoni simili a quelli umani e a ripetere alcune parole.
Come la maggior parte dei corvidi, la cornacchia nera è virtualmente un onnivoro opportunista, con tendenza alla saprofagia: questi uccelli, infatti, in natura si nutrono principalmente di insetti e altri invertebrati, larve, carcasse (dalle quali piluccano sia pezzetti di carne sia insetti e larve saprofagi), uova e piccoli vertebrati (anfibi, rettili, nidiacei di piccoli uccelli e adulti di specie un po' più grandi, arrivando a predare merli e anatroccoli, e piccoli mammiferi), nonché, sebbene sporadicamente, semi e granaglie, bacche e frutta matura.
Le cornacchie possono collaborare fra loro per aggredire grossi rapaci o piccoli canidi e sottrarre loro le prede.
Con l'antropizzazione sempre maggiore dell'areale di diffusione, le cornacchie, animali molto intelligenti, si sono rapidamente adattate a trarre profitto dalla situazione, radunandosi presso gli insediamenti e beneficiando dell'aumentata disponibilità di cibo sotto forma di scarti e rifiuti.
Si tratta di uccelli monogami, le cui coppie rimangono insieme per anni, non di rado per la vita.
La stagione riproduttiva va dalla seconda metà di marzo alla fine di maggio: le coppie portano generalmente avanti una singola covata l'anno, cominciandone una seconda qualora la prima vada perduta per qualche motivo durante le fasi iniziali (costruzione del nido o cova delle uova).
I due sessi collaborano nella costruzione del nido, che di norma avviene fra i rami di un grosso albero isolato. Il nido si presenta piuttosto voluminoso e dalla forma a coppa, molto simile a quello del corvo imperiale, ma meno imponente: esso viene edificato intrecciando rametti e fibre vegetali, e foderando l'interno con materiale più morbido.
All'interno del nido, la femmina depone 3-6 uova lisce e leggermente lucide, di colore azzurrino fittamente maculato di bruno: esse vengono covate dalla femmina (col maschio che nel frattempo stazione di guardia nei pressi del nido, scacciando eventuali intrusi e occupandosi inoltre di reperire il cibo per sé e per la compagna) per 18-20 giorni, al termine dei quali schiudono pulli ciechi e implumi.
I nidiacei vengono imbeccati dalla sola femmina (che a sua volta riceve il cibo dal maschio) per i primi giorni di vita: in seguito, ambedue i genitori partecipano alla cura e all'alimentazione della prole, non di rado con la collaborazione di uno o più giovani non riproduttivi della nidiata dell'anno precedente.
In tal modo, i giovani si involano all'età di 4-5 settimane circa: anche dopo l'involo, tuttavia, essi continuano a rimanere coi genitori, seguendoli nei loro spostamenti, entrando a far parte dello stesso stormo e continuando (sebbene sempre più sporadicamente man mano che raggiungono la maturità) a chiedere loro l'imbeccata.
Sono distinguibili due grandi popolazioni disgiunte di cornacchia nera, una europea e una asiatica: la prima è diffusa dalla penisola iberica alla Boemia (Gran Bretagna tranne le Highlands scozzesi e Irlanda orientale comprese) a sud fino alle Alpi, mentre la seconda è diffusa dalla sponda orientale dello Enisej (in Siberia centrale) alla Kamchatka (comprese le isole Curili, Sakhalin e il Giappone tranne Kyūshū) a sud fino al Turkmenistan orientale, all'Afghanistan nord-orientale, al nord di Qinghai e Sichuan e all'Hebei.
In Italia, la specie è presente lungo l'Arco alpino, specie in Valle d'Aosta (dove non è difficile osservare coppie miste e individui ibridi, specie lungo il fondovalle della Dora Baltea).
La maggior parte delle popolazioni tende a essere residente: la cornacchia nera mostra tuttavia un grande potenziale di dispersione, con le popolazioni settentrionali della sottospecie asiatica che migrano in autunno a sud fino all'Iran nord-orientale, al Belucistan e al Khyber Pakhtunkhwa, mentre quelle dell'Europa Centrale che si disperdono in direttrice SW, raggiungendo l'Europa Meridionale dove passano l'inverno.
La cornacchia nera è un uccello molto adattabile: l'habitat d'elezione originario di questi uccelli è rappresentato dalle aree aperte a copertura erbosa con presenza qua e là di macchie boschive miste più o meno estese, tuttavia attualmente questi uccelli colonizzano senza grossi problemi anche le aree antropizzate suburbane o urbane.
Una vita, la loro, che dura dal lontano ‘1500, hanno in cui, si presume, fu costruito l’antico Palazzo, ne da’ notizia un documento ritrovato, ma mai approfondito, del 1762, che ne indica la sua origine, dall’epoca del trasferimento nel nuovo abitato, degli abitanti dell’antica UGGIANO, e sempre lo stesso documento, indica i vari passaggi di proprietà, da Giacomo De Leonardis (Noto Patriota) a certo Nicola Rocco indicandolo come confinante, continuando con Domenico Ridola (Affermato e apprezzato Archeologo e ricercatore della Storia Antica Materana del Paleolitico/Neolitico), che ne vide i suoi natali, per finire alla famiglia Centola, dove ne prende e ne mantiene il nome sino ad oggi.
Tutte le mattine, sino a tramonto inoltrato, si ode il loro gracchiare, stormi di centinaia, in volo per tutta la frontale vallata, posandosi sui muretti, lungo le ringhiere, sui fili elettrici, sulla pavimentazione stradale, incuranti del passaggio di esseri umani, tanto abituati alla convivenza ed alla certezza della loro incolumità.
Una caratteristica che dovrebbe essere ripresa da Amministratori attenti e amanti della Storia Antica, senza ledere, naturalmente, l’attuale denominazione, del tutto rispettabile, ed altrettanto importante per l’illustrissimo personaggio, ma nel rispetto di antiche scritture che la citano come caratteristica “Strada Pubblica delli Meroli”.
Una Storia Antica dettata non dall’Uomo, ma dalla fauna, che protraendosi nei secoli mantiene intatta la sua origine, semplicemente continuando il suo corso naturale, quello che da origine alla vita… che l’essere umano puntualmente cancella con il progresso, con la presunzione del rinnovamento e della mania di modernità, a scapito di tanta Storia Antica.
di Enzo Scasciamacchia
venerdì 22 gennaio 2021
domenica 17 gennaio 2021
La Storia Antica a Ferrandina non interessa a nessuno...
lunedì 4 gennaio 2021
Le origini della Befana
L’Epifania Storia e Leggenda
La Befana, corruzione lessicale di Epifania (dal greco ἐπιφάνεια, epifáneia) attraverso bifanìa e befanìa, è una figura folcloristica legata alle festività natalizie, tipica di alcune regioni italiane e diffusasi poi in tutta la penisola italiana, meno conosciuta nel resto del mondo. Secondo la tradizione, si tratta di una donna molto anziana che vola su una logora scopa, per fare visita ai bambini nella notte tra il 5 e il 6 gennaio (la notte dell'Epifania) e riempire le calze lasciate da essi, appositamente appese sul camino o vicino a una finestra; generalmente, i bambini che durante l'anno si sono comportati bene riceveranno dolciumi, caramelle, frutta secca o piccoli giocattoli. Al contrario, coloro che si sono comportati male troveranno le calze riempite con del carbone o dell'aglio.
La Sua Storia
L'origine fu forse connessa a un insieme di riti propiziatori pagani, risalenti al X-VI secolo a.C., in merito ai cicli stagionali legati all'agricoltura, ovvero relativi al raccolto dell'anno trascorso, ormai pronto per rinascere come anno nuovo, diffuso nell'Italia settentrionale, nell'Italia Centrale e meridionale, attraverso un antico Mitraismo e altri culti affini come quello celtico, legati all'inverno boreale.
Gli antichi Romani ereditarono tali riti, associandoli quindi al calendario romano, e celebrando, appunto, l'interregno temporale tra la fine dell'anno solare, fondamentalmente il solstizio invernale e la ricorrenza del Sol Invictus. La dodicesima notte dopo il solstizio invernale, si celebrava la morte e la rinascita della natura attraverso Madre Natura. I Romani credevano che in queste dodici notti (il cui numero avrebbe rappresentato sia i dodici mesi dell'innovativo calendario romano nel suo passaggio da prettamente lunare a lunisolare, ma probabilmente associati anche ad altri numeri e simboli mitologici) delle figure femminili volassero sui campi coltivati, per propiziare la fertilità dei futuri raccolti, da cui il mito della figura "volante". Secondo alcuni, tale figura femminile fu dapprima identificata in Diana, la dea lunare non solo legata alla cacciagione, ma anche alla vegetazione, mentre secondo altri fu associata a una divinità minore chiamata Sàtia (dea della sazietà), oppure Abùndia (dea dell'abbondanza).
Un'altra ipotesi collegherebbe la Befana con un'antica festa romana, che si svolgeva sempre in inverno, in onore di Giano e Strenia (da cui deriva anche il termine "strenna") e durante la quale ci si scambiavano regali.
La Befana secondo interpretazioni largamente accettate in centro e nord Europa si richiamerebbe alla figura celtica di Perchta, assimilabile ad alcune figure come ad esempio Frigg in Scandinavia, Holda in nord Europa, Bertha in Gran Bretagna, Berchta in Austria, Svizzera, Francia e Nord Italia; è una personificazione al femminile della natura invernale, viene rappresentata come una vecchia gobba con naso adunco, capelli bianchi spettinati e piedi abnormi, vestita di stracci e scarpe rotte, aleggiando sopra i campi e terreni di notte ne propizia la fertilità, e viene festeggiata nei 12 giorni che seguono il Natale, culminanti in coincidenza con l'epifania.
Già a partire dal IV secolo d.C., l'allora Chiesa di Roma cominciò a condannare tutti riti e le credenze pagane, definendole un frutto di influenze sataniche. Queste sovrapposizioni diedero origine a molte personificazioni, che sfociarono, a partire dal Basso Medioevo, nell'attuale figura ripulita da contaminazioni favolistiche o pagane, anche se il suo aspetto, benevolo e non negativo, è stato ed è tuttora, per influenza della festa di Halloween, erroneamente associato a quello di una strega. In realtà non è una strega, ma una vecchina affettuosa, rappresentata su una scopa volante, antico simbolo che, da rappresentazione della purificazione delle case (e delle anime), in previsione della rinascita della stagione.
Condannata quindi dalla Chiesa, l'antica figura pagana femminile fu accettata gradualmente nel Cattolicesimo, come una sorta di dualismo tra il bene e il male. Già nel periodo del teologo Epifanio di Salamina, la stessa ricorrenza dell'Epifania fu proposta alla data della dodicesima notte dopo il Natale, assorbendo così l'antica simbologia numerica pagana.
Nel 1928, il regime fascista introdusse la festività della Befana fascista, dove venivano distribuiti regali ai bambini delle classi meno abbienti. Dopo la caduta di Mussolini, la Befana fascista continuò a essere celebrata nella sola Repubblica Sociale Italiana.
Nel periodo più recente, innumerevoli e largamente diffuse sono le rappresentazioni italiane della Befana e le feste a lei dedicate; spesso si tratta di un figurante che si cala dal campanile della piazza di un paese, oppure di vecchiettine travestite per distribuire regali ai bambini. La tradizione la vuole "vecchia" ad indicare il finire di un ciclo: con il solstizio d'inverno si passa infatti dal vecchio al nuovo, dal freddo e dalle notti interminabili all'allungarsi del periodo di luce; inoltre, a livello di calendario legale, con la fine dell'anno si entra nel nuovo anno gregoriano; anche a livello liturgico si conclude il Tempo Liturgico forte, natalizio, e comincia quello Ordinario. Proprio per questo il giorno dell'Epifania, quando si festeggia anche la Befana, viene recitato "Epifania, tutte le feste porta via".
Caratteristiche
Il nome "Befana", inteso come il fantoccio femminile esposto la notte dell'Epifania, era già diffuso nel dialettale popolare del XIV secolo, specialmente nelle terre dell'antica Etruria (Toscana e Tuscia nell'attuale Lazio settentrionale), quindi utilizzato per la prima volta in italiano da Francesco Berni nel 1535, quindi da Agnolo Firenzuola nel 1541. Poiché, per tradizione, la Befana lascia i doni in una calza appesa al camino, a Dovadola nell'Appennino forlivese, si prepara la calza definita "la più lunga del mondo". Vi sono ancora taluni rari luoghi in cui è rimasto, nel linguaggio popolare, il termine "Pefana" come, per esempio, nel paese di Montignoso, nel resto della Provincia di Massa-Carrara, in quella della Spezia nonché in Garfagnana e Versilia, con tradizioni non in linea con le consuete celebrazioni dell'Epifania.
Una versione religiosa (frutto del tentativo moderno di "cristianizzare" la figura della befana) invece racconta che i Re Magi in viaggio per Betlemme avessero chiesto informazioni sulla strada ad una vecchia, e che avessero insistito perché lei andasse con loro a portare i doni al salvatore. La vecchia rifiutò, ma poco dopo, pentita, preparò un sacco pieno di doni e si mise in cerca dei Magi e del bambino Gesù. Non trovandoli bussò ad ogni porta e consegnò i doni ai bambini sperando di potersi così far perdonare la mancanza.
Il carattere
La Befana richiama la tradizione religiosa di Santa Lucia, che dispensava doni ai bambini prima di lei, come faceva San Nicola prima dell'avvento di Babbo Natale. Non è dunque cattiva, è solo infastidita con gli adulti e scorbutica con chi non le aggrada perché tenta di fare il furbo; ma con i bambini si mostra indulgente e comprensiva, una nonnina piena di attenzioni e regali.Aspetto
fisico e simbologia
Gli abiti e le scarpe
Per ripararsi adeguatamente la Befana indossa gonnoni lunghi, lisi e rattoppati in maniera allegra; spesso indossa il grembiule. Usa inoltre calzettoni pesanti antifreddo e scarpe comode, ma non stivali alla guascone molto più adatti alle streghe delle fiabe. Sulle spalle a volte ingobbite ha sempre uno scialle di lana pesante e colorata e non un mantello svolazzante come capita di trovare in alcune immagini nella rete.Il fazzolettone
Non bisogna confondere la Befana con le streghe della tradizione anglosassone. Una Befana vera, infatti, non ha il cappello a punta, come spesso appare su molti siti, blog, e persino in alcune pubblicità televisive. Usa invece esclusivamente un fazzolettone di stoffa pesante (la pezzóla) o uno sciarpone di lana annodato in modo vistoso sotto il mento.La scopa
Il carbone
Secondo la tradizione orale, la Befana consegna regali ai bambini buoni o carbone e aglio ai bambini birichini. Il carbone - o anche la cenere - da antico simbolo rituale dei falò inizialmente veniva inserito nelle calze o nelle scarpe insieme ai dolci, in ricordo, appunto, del rinnovamento stagionale, ma anche dei fantocci bruciati. Nell'ottica morale cattolica dei secoli successivi, nelle calze e nelle scarpe veniva inserito solo il carbone e/o l'aglio come punizione per i soli bambini che si erano comportati male durante l'anno precedente.Feste della Befana in Italia
In Liguria Bazâra (pronuncia basâra), la Befana ha un etimo diverso dall'italiano, infatti in lingua genovese ha il significato di "vecchia sporca e trasandata", basti pensare alle lingue iberiche per l'etimo della parola basura che parimenti può significare persona sporca e trasandata; la festa di Bazara è ancora oggi chiamata "Pasquetta"; diversamente che in italiano, con Pasquetta non si indica in Liguria il giorno dopo Pasqua, ma una festività qualunque.
Non è solo la parola a cambiare, ma anche alcune tradizioni, i ragazzi ad esempio ricevono ciapellette, delle scarpette, e non calze, di cioccolato ripiene di castagne secche aglio e mandarini o in alternativa marenghi d'öo, soldi in cioccolato; tradizionalmente si lasciavano le proprie scarpe fuori dalla finestra e lo spirito aleggiante di Bazâra nella notte le avrebbe riempite, poiché nella leggenda si ipotizzava che avesse le scarpe rotte e ne avesse bisogno di nuove, e avrebbe lasciato una ricompensa a tutti i ragazzini che fossero disponibili a lasciarne un paio in dono, fuori dalla finestra appunto. Si tratta della prima festività dell'anno in cui nella tradizione si mangia pesce e lasagne impastate senza uovo, dette bianche, Epifagna Gianca Lasagna (ovvero Mandilli de Sea), e le ragazze un tempo lasciavano foglie d’ulivo sulla cenere calda del camino per trarre profezie d'amore.
Ad Urbania viene tradizionalmente collocata la Casa Ufficiale della Befana. Vi si celebra inoltre ogni anno la "Festa Nazionale della Befana", tradizione ormai ventennale e conosciuta in tutta Italia.
In Toscana, nella provincia di Grosseto, esistono i Befani (all'isola d'Elba sono detti Befanotti), uomini che il giorno dell'Epifania vanno assieme alla Befana per le vie cittadine dei paesi a eseguire canti tradizionali maremmani, augurando la "buona Pasqua" (augurio legato alla liturgia dell'Epifania, quando in Chiesa viene letto "l'annuncio del giorno di Pasqua"). A Capezzano Pianore, frazione della provincia di Lucca, la festa è particolarmente sentita il 5 gennaio, con la partecipazione di gruppi che accompagnano con canti e musiche popolari le befane che recano doni e dolciumi nelle borgate del paese fino a notte fonda. Il 6 gennaio la festività culmima con la processione liturgica recante la statua di Gesù fanciullo.
In Sardegna, la "Befana" italiana è invece un'introduzione che, per quanto non indigena e relativamente recente, nell'isola è infine giunta a soppiantare le feste più tradizionali, come sa Pasca de sos tres Res o de is tres Urreis, analoga alla spagnola festa de los reyes magos. La Carta de Logu, rimasta in vigore fino al 1827, si esprime in merito all'Epifania chiamandola Pasca Nuntza, essendo questa la giornata stabilita per la corretta definizione delle feste mobili, fra cui la Pasqua (in lingua sarda conosciuta come sa Pasca Manna).
Filastrocche e leggende popolari
«Oh Befana
Befanina
Fai ben piena la
calzina!
Non badare ai
capriccetti
Porta bambole e
confetti!»
«La Befana vien
di notte
con le scarpe
tutte rotte
con le toppe alla
sottana
viva viva la Befana!»
da cui deriva la
variante:
«La Befana vien
di notte
con le scarpe
tutte rotte
con il naso alla
romana
(o: col cappello
alla romana)
(o: col vestito
alla romana)
viva viva la
Befana!»
Questa è una
variante diffusa in Toscana:
«La Befana vien
di notte
con le scarpe
tutte rotte
attraversa tutti
i tetti
porta bambole e
confetti»
oppure:
«La Befana vien
di notte
con le scarpe
tutte rotte
se ne compra un
altro paio
con la penna e il
calamaio»
Altre varianti:
«La Befana vien
di notte
con le scarpe
tutte rotte
il vestito a
trullallà
la Befana eccola
qua!»
«La Befana vien
di notte
con le scarpe
tutte rotte
il vestito tutto
blu
la Befana viene
giù»
«La Befana vien
di notte
con le scarpe
tutte rotte
il vestito a gran
sottana
viva viva la
Befana!»
«La Befana vien
di notte
con le scarpe
tutte rotte
il vestito e la
bandana
viene viene la
Befana!»
«La Befana vien
di notte
con le scarpe
tutte rotte
e le ha rotte in
cima in cima
la Befana è
poverina»
«La befana vien
di notte
con le scarpe
tutte rotte
porta vento e
tramontana
viva viva la
Befana!»
«La befana vien
di notte
con le calze
tutte rotte
col vestito alla
spagnola
passa di qui una volta sola!»
Secondo una versione "cristianizzata" di una leggenda risalente intorno al XII secolo, i Re Magi, diretti a Betlemme per portare i doni a Gesù Bambino, non riuscendo a trovare la strada, chiesero informazioni a una signora anziana. Malgrado le loro insistenze, affinché li seguisse per far visita al piccolo, la donna non uscì di casa per accompagnarli. In seguito, pentita di non essere andata con loro, dopo aver preparato un sacco pieno di doni, uscì di casa e si mise a cercarli, senza riuscirci. Così si fermò a ogni casa che trovava lungo il cammino, donando i regali ai bambini che incontrava, nella speranza che uno di essi fosse il piccolo Gesù. Da allora girerebbe per il mondo, facendo regali a tutti i bambini, per farsi perdonare.
In alcune versioni si dice che sia la moglie di Babbo Natale, o in altre una sua amica o una sua parente; in altre invece si narra che siano in leggera conflittualità visto che il signore in rosso andrebbe a spargere la voce della non esistenza di questa vecchina. In altre ancora si racconta che la Befana abbia un marito (Il Befanotto) molto vecchio, brutto a tal punto da incutere terrore nei bimbi vedendolo arrivare, mentre accompagna la sua vecchia e malandata moglie.
In alcune zone d'Italia da tempo immemorabile c'è l'uso di cantare e suonare serenate e stornelli della Befana nella serata e nella notte tra il cinque e il sei gennaio.