L'Attentato al Re Umperto I°
Giovanni Passannante
L’Attentatore del Re Umberto I°
II° Parte
Alla morte del padre, Umberto I, accompagnato dalla moglie Margherita e dal figlio (il futuro re Vittorio Emanuele
III), preparò un viaggio nelle maggiori
città italiane per potersi mostrare al popolo. Nei giorni antecedenti al fatto
vi furono diverse proteste di matrice internazionalista nella città partenopea,
represse dalle autorità. Un comizio tenuto dall'operaia femminista Annita Lanzara
e dai tipografi internazionalisti Luigi Felicò e Taddeo Ricciardi venne
interrotto dall'ispettore di pubblica sicurezza. Alcuni partecipanti come
Pietro Cesare Ceccarelli, Francesco
Saverio Merlino, Francesco
Gastaldi, Giovanni Maggi e Saverio Salzano vennero arrestati mentre
distribuivano volantini rivoluzionari. Il 17 novembre 1878, la famiglia regnante, assieme al primo
ministro Benedetto Cairoli, era in visita a Napoli.
Venne preparata un'accoglienza sfarzosa, nonostante le polemiche avutesi in
consiglio comunale sulle spese elevate per il ricevimento reale. Quando il
corteo giunse all'altezza del "Largo della Carriera Grande" nel mezzo
di un pubblico festante, tante persone, in particolare donne, si dirigevano
verso la carrozza per porgere suppliche. Passannante era tra gli astanti,
attendendo il momento opportuno per avvicinarsi alla carrozza del sovrano, che
incedeva lentamente nella piazza. Giunto il suo momento, l'attentatore sbucò
all'improvviso dalla folla, salì sul predellino, scoprì un coltello, che teneva
avvolto in uno straccio rosso, e tentò di accoltellare il monarca urlando:
«Viva Orsini! Viva la Repubblica Universale!». Il re
riuscì a difendersi, rimanendo leggermente ferito al braccio sinistro. La
regina lanciò in faccia all'aggressore il mazzo di fiori che aveva in grembo e
avrebbe urlato: «Cairoli, salvi il re». Cairoli afferrò l'attentatore per
i capelli ma venne ferito da un taglio alla coscia destra, una ferita non grave
nonostante l'abbondante sangue versato. Accorsero subito i corazzieri e il loro
capitano Stefano De Giovannini colpì l'anarchico con un fendente alla testa:
l'attentatore venne subito tratto in arresto. La folla circostante, vedendo un
uomo ferito condotto via, non si accorse immediatamente del fallito assassinio
e pensò che Passannante fosse stato investito dalla carrozza reale: non vi fu
quindi alcun tentativo di linciaggio.
Il tutto si compì in un tempo così breve che le altre carrozze vicine a quella
reale non dovettero mai fermare la loro marcia.
L'arresto: Sanguinante per le ferite alla testa, non
venne accompagnato in ospedale per essere medicato e subì altre
sevizie. Affermò di aver agito da solo, di aver escogitato l'attentato due
giorni prima e negò di appartenere ad alcuna organizzazione politica. Aveva
compiuto il suo gesto con un coltello avente una lama di 12 cm che
aveva ottenuto barattandolo con la sua giacca. Nel fazzoletto rosso in cui
aveva nascosto l'arma, Passannante aveva scritto: «Morte al Re, viva la
Repubblica Universale, viva Orsini». Al
momento dell'arresto, gli furono sequestrati i documenti: uno di questi era una
lettera, che Passannante definì il suo «testamento», indirizzata a un tale don
Giovannino, in cui lo pregava di elargire i suoi miseri averi ad alcune
persone. L'attentato provocò nella regina Margherita un forte shock, anche se
durante la sfilata cercò di mantenere un atteggiamento calmo e sorridente.
Tornata alla reggia, si sentì male ed esclamò: «Si è rotto l'incantesimo di
Casa Savoia!». Il giorno dopo il re fu visitato da numerosi esponenti della
nobiltà e della politica meridionale, tra questi i lucani Ascanio Branca, Salvatore Correale e Giuseppe Imperatrice,
che espressero rincrescimento per il fatto che Passannante fosse un loro
corregionale. Il re li rincuorò, promettendo di fare una visita in Basilicata il
prima possibile. La parola verrà mantenuta e la coppia reale soggiornerà
a Potenza tra il 25 e il 27 gennaio 1881.
Le conseguenze:
L'attentato sconvolse il regno intero
e produsse opposti sentimenti da una parte, con cortei di protesta solidali nei
confronti del Re, cui si contrapposero coloro che invece elogiarono
l'attentatore. Il giorno successivo, a Firenze,
venne lanciata una bomba contro un corteo monarchico: due uomini e una bambina
restarono uccisi e una decina di persone furono ferite. Si attribuì la
tragedia agli internazionalisti e vennero arrestati diversi esponenti del
movimento, che verranno poi scarcerati per mancanza di prove. Uno di loro,
Cesare Batacchi, verrà graziato solo il 14 maggio 1900. Secondo alcuni, l'arresto di Batacchi e
degli altri internazionalisti sarebbe stato una strumentalizzazione poliziesca
per reprimere le associazioni avverse alla monarchia. A Pisa, un'altra bomba venne fatta esplodere durante
una manifestazione a favore del re, ma non si registrarono vittime. Venne
arrestato un tale Pietro Orsolini, che, nonostante diverse prove di innocenza,
morì nel carcere di Lucca nel 1887. La notte del 18 novembre venne assalita
una caserma a Pesaro con un deposito di 5.000 fucili: un
internazionalista fu arrestato. Si registrarono sommosse in tutta la
nazione e il governo, che temeva un complotto anarchico contro la corona,
intervenne con un'opera di repressione. Vi furono scontri con le forze
dell'ordine in città come Bologna, Genova, Pesaro e
molte persone vennero arrestate al solo elogio verso l'attentatore o alla sola
denigrazione nei confronti del re, come accadde a Torino, Città di Castello, Milano, Guglionesi, La Spezia e Bologna.
Il poeta Giovanni Pascoli, intervenendo in una riunione di aderenti ad
ambienti socialisti a Bologna,
diede pubblica lettura di una sua Ode a Passannante. Subito dopo la
lettura, Pascoli distrusse l'ode e di tale componimento si conosce solo il
contenuto dei versi conclusivi, di cui è stata tramandata la parafrasi: «Colla
berretta d'un cuoco, faremo una bandiera».Sull'esistenza dell'ode non esistono
fonti concrete, anche se Gian Battista Lolli, segretario della federazione
socialista di Bologna e amico di Pascoli, sostenne di aver assistito alla lettura
e attribuì al poeta la composizione dell'opera. Pascoli, in seguito, verrà
arrestato per aver manifestato a favore degli anarchici che erano stati a loro
volta tratti in arresto per i disordini generati dalla condanna di Passannante.
Durante il loro processo, il poeta urlò: «Se questi sono i malfattori, evviva i
malfattori!». Paul Brousse, direttore del giornale
anarchico L'Avant-Garde di Neuchâtel,
pubblicò sulla propria testata un articolo apologetico su Passannante e altri
attentatori come Juan
Oliva Moncasi, Max Hödel e Karl Nobiling. Il paragrafo presenta l'anarchico lucano con
simpatia e ammirazione, arrivando a definirlo «una natura energica». La
pubblicazione generò polemiche e la Svizzera,
asilo politico di numerosi anarchici, ricevette accuse di essere un focolaio di
cospirazione antimonarchica a livello internazionale. I sovrani d'Italia, Germania, Russia e Spagna fecero
pressioni sul governo svizzero affinché invalidasse l'attività del giornale per
non turbare i rapporti diplomatici. Così L'Avant-Garde fu soppresso,
Brousse venne arrestato ed espulso dalla Svizzera. Durante il processo, Brousse
si rifiutò di nominare l'autore dell'articolo, il quale, secondo alcune voci,
sarebbe l'anarchico Carlo Cafiero, che si trovava in Svizzera in quel periodo. Pochi
giorni dopo il tentato regicidio, in Parlamento la condanna dell'attentato fu
unanime ma il governo Cairoli fu attaccato dalla destra e da una parte della
sinistra, con l'accusa di incapacità nel tutelare l'ordine pubblico e di
eccessiva tolleranza nei confronti delle associazioni internazionaliste e repubblicane. L'11
dicembre 1878,
il ministro Guido Baccelli presentò una mozione di fiducia al
governo, che fu respinta con 263 voti contrari, 189 favorevoli e cinque
astenuti, costringendo Cairoli a rassegnare le dimissioni.