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I Sassi di Matera

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martedì 18 giugno 2019

Ancora un mio articolo pubblicato sul quotidiano Le Cronache Lucane



Il Patriota Ferrandinese...




Giuseppe Venita… rivoluzionario Lucano


Nasce nel 1774 da Camilla Schiavone e Vincenzo, in un ameno paesino della Lucania, Ferrandina. Sin da adolescente fu cosciente della sofferenza e miseria sempre più dilagante nel Sud. Dopo un breve periodo di volontariato in seminario, capì che la sua più grande vocazione era la rivoluzione, si arruolò nell’esercito borbonico apparentemente come valoroso combattente ma, in realtà, il suo obiettivo era ben preciso : controllare le mosse dell’esercito; una spia, dunque.
Dal 1799 in Basilicata comincia un periodo denso di profondi e forti sconvolgimenti politici ma è necessario sfatare un luogo comune, il Risorgimento lucano non dura dal 1799 al 1860, bisogna, invece, andare indietro nel tempo, nella seconda metà del XVII secolo, data in cui cominciò a costituirsi e formarsi una nuova classe dirigente che coglie l’opportunità di venire allo scoperto, nella rivoluzione del 1799. I manuali di storia non danno importanza ad una data importante del Mezzogiorno italiano, il 16 luglio 1860 in cui si verificò una forte sommossa da cui deriveranno grandi trasformazioni sociali.
E’ fondamentale approfondire l’identità storico-culturale della nostra regione, poiché non è nota a tutti, ma a pochi. A questo proposito, don Giuseppe De Luca (1898-1962) dice: “Io sono dell’Italia meno italiana che esista, dell’ultima Italia che si stende verso l’Africa e la Grecia, stata gran tempo sinora albergo di vari signori, e mai casa nostra soltanto, sicchè sembriam ,noi, senza volto o almeno nessuno ce ne riconosce uno”.
Negli ultimi decenni del XVIII secolo, nei diversi comuni lucani, non sono rare agitazioni e sommosse, soprattutto nel materano, in cui cominciano ad avvertirsi i segni di un radicale cambiamento, furono tanti coloro che si aprirono a frequenti incontri con i corregionali Luigi Lo monaco, fratello di Francesco, Felice Mastrangelo e Niccolò Fiorentino, ma i veri animatori della rivoluzione, a Ferrandina, furono proprio i Venita, appartenenti ad una ricca famiglia di galantuomini. Giuseppe Venita è stato considerato, in Basilicata, uno dei più valorosi condottieri dei moti carbonari del 1820. Dopo essersi arruolato nell’esercito borbonico, nel 1798, divenne sergente e passò al servizio del Governo repubblicano. Nel 1799, dopo aver seguito Felice Mastrangelo nella difesa di Altamura, dinanzi alla caduta della città, decise di rifugiarsi a Napoli dove venne fatto prigioniero a Castel dell’Ovo. Successivamente riparò in Francia, fu processato e arruolatosi nell’esercito, partecipò alla campagna d’Italia.
Venita si spostava continuamente tra i vari paesi melfitani perché il suo obiettivo era uno soltanto, distogliere l’attenzione per la grande sommossa a cui stava meditando già da tanto.
Le sommosse di Ferrandina e Montemilone fallirono e nonostante ciò Venita continua a preparare la successiva sommossa programmata per il 17 luglio 1821. Anche Montalbano, vista la presenza di numerosi carbonari, era tra le città che avrebbero dovuto ribellarsi se avessero avuto esito positivo le sommosse di Ferrandina e Montemilone, la prova di ciò è data da una dichiarazione del giudice Vallesi in una lettera nella quale afferma: “raccolsi già fatti accorsi in aprile, maggio, giugno e luglio in questo distretto circa la proclamazione della repubblica, che voleva farsi in Montalbano, loro autore, il Venita”.
Il rivoluzionario cerca di fuggire ma viene arrestato e il 13 marzo 1822, alle ore 18.00, alla periferia di Calvello, in località Fontanella, viene fucilato insieme al fratello Francesco, questo il giudizio di Giustino  Fortunato su Venita e altri rivoluzionari: “erano uomini dalle passioni violente, di spiriti irrequieti, la fantasia accesa e più forte della ragione.
Fu una follia la loro, ma una generosa follia, che essi scontarono col sangue e suggellarono con la miseria, con la perdita dei loro affetti più cari. E il cuore umano non è ancora così insensibile da negare una lacrima, un palpito di tenerezza alla loro memoria”.








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