Matera Capitale

I Sassi di Matera

I Sassi di Matera
I Sassi di Matera (Clicca per conoscere la sua storia)

wikimatera.it

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Nuova collaborazione dal 15 Gennaio 2022

venerdì 21 febbraio 2025

 

IL MOVIMENTO 5 STELLE MATERANO È VIVO E VEGETO

A chi sostiene che il M5S Materano si è sgretolato, mi dispiace chiarire che è vivo e vegeto, e lo dimostrerà a tempo debito, non certo per dare la buona occasione ad altri di potersi preparare per poterlo battere, bensì riserva sorprese inaspettate a chi teme la sua forza e la sua credibilità ottenuta durante il precedente mandato dal 70% delle preferenze elettorali.

Sostenere che sia dissolto è un eufemismo, un tentativo di demonizzare la presunta superiorità ottenuta con risultati concreti e tangibili, e con i vari obbiettivi raggiunti, riconoscimenti e titoli di cui i cittadini possono vantare, dei tanti progetti sbloccati da anni di immobilismo, dall’impegno e dall’interessamento alla propria città dimostrato ampiamente, non passeranno inosservati, ogni Materano sa che per essere tutelato, dovrà scegliere l’onestà, la sincerità, l’umiltà e la volontà di migliorare il suo tenore di vita, e sa già che l’unica forza politica in grado di poterlo soddisfare oggi, non solo in Basilicata, ma in tutta l’Italia, è il M5S, tutto il resto è solo interessato al potere, ai propri interessi, ed a quelli del proprio partito di appartenenza, la Comunità con la sua economia e le sue esigenze, non sono per gli stessi una priorità, ciò che conta oggi per loro è solo allineare anche la città di Matera alla politica distruttiva e disfattista di guerrafondai, disonesti, truffatori e “LACCHE’”, regionali e nazionali.

Il M5S Materano farà la differenza, ed insieme al suo 70% di elettori, saprà distinguersi anche questa volta, perché sappiate che il Materano DOC pretende e ottiene sempre la sua autonomia e la sua libertà di pensiero, contro ogni previsione di destabilizzazione e condizionamenti abusivi da parte di “POLITICANTI” bugiardi, inaffidabili, disonesti e truffatori.

Il M5S Materano è vivo e vegeto… e fa paura!!!     

mercoledì 12 febbraio 2025

 

UN GRANDE PROGETTO INNOVATIVO E SOSTENIBILE A FERRANDINA

Questa Amministrazione ha deciso di rifare il look alla città, e lo presenta in tutto il suo splendore con progetti studiati da un Pool di Architetti di alto livello professionale, una trasformazione che promette vantaggi e sostenibilità all’intera comunità, proiettando la città verso obbiettivi innovativi e adatti alle nuove generazioni, per rendere l’arredo urbano più adatto alle nuove esigenze di vita moderna.

Sembra un’utopia, ma siamo fiduciosi, ed in attesa di risultati tangibili, a testimonianza di quanto promesso, godetevi le testimonianze di foto progetti realizzati fedelmente alla realtà, nell’attesa di vedere realizzate le suddette promesse fatte.

Di seguito la presentazione ufficiale:

“Siamo entusiasti di annunciare che il nostro progetto ha vinto un importante concorso di riqualificazione urbana legato al PNRR, con un investimento di circa 5 milioni di euro, un nuovo volto per la città di Ferrandina, meno auto, più spazi per le persone!

L’asse Piazza De Gasperi - Corso Vittorio Emanuele - Piazza Plebiscito sarà ripensato per migliorare la qualità della vita urbana, valorizzando gli spazi pubblici e incentivando una mobilità sostenibile.

Innovazione e sostenibilità:

Una grande area parcheggio nel quartiere Santa Lucia, con copertura in ferro zincato dalle forme organiche, ispirata alle screpolature dell’argilla locale.

Pannelli fotovoltaici integrati per un progetto eco-friendly.

Tre nuove aree di sosta per ridurre il traffico nel centro storico.

Piazza Plebiscito diventa un punto di aggregazione con materiali sostenibili come pietra, legno e acciaio corten.

Illuminazione LED per un’atmosfera sicura e suggestiva anche di sera.

Più spazio ai pedoni e alla socialità:

Il progetto prevede la trasformazione del percorso anulare per incentivare la mobilità lenta, restituendo il centro storico ai cittadini, una via parallela a Corso Vittorio Emanuele diventerà completamente pedonale, offrendo un’esperienza immersiva e autentica del borgo antico.

Una città più vivibile, sostenibile e a misura di comunità!”.

Un lavoro di squadra con:

Arch. Mattia Antonio Acito

Arch. Alessandro Santoro

Arch. Michele Iacovazzi

Arch. Laura Acito.

FotoGallery









lunedì 10 febbraio 2025

 

MAGDALENA CARMEN FRIDA KAHLO Y CALDERÓN

(CITTÀ DEL MESSICO, 6 LUGLIO 1907 – CITTÀ DEL MESSICO, 13 LUGLIO 1954)

PITTRICE MESSICANA

Infanzia e primi anni

Frida Kahlo nacque il 6 luglio 1907 a Coyoacán, un villaggio ubicato nella periferia di Città del Messico (oggi una delle delegazioni della capitale), figlia di Guillermo Kahlo Kaufmann (nato Carl Wilhelm Kahlo; 1871-1941), un fotografo tedesco nato a Pforzheim (nell'odierno Baden-Württemberg) da Jakob Wilhelm Kahlo, gioielliere, e Henriette Kaufmann, emigrato in Messico nel 1891. Sua madre era invece Matilde Calderón y González (1876-1932), una benestante messicana di origini spagnole e amerinde. Frida fu una pittrice dalla vita travagliata. Le piaceva dire di essere nata nel 1910, poiché si sentiva profondamente figlia della rivoluzione messicana di quell'anno, e perciò del Messico moderno. Affetta da spina bifida, che i genitori e le persone intorno a lei scambiarono per poliomielite (ne era affetta anche sua sorella minore), fin dall'adolescenza manifestò una personalità molto forte, unita a un singolare talento artistico e aveva uno spirito indipendente e passionale, riluttante verso ogni convenzione sociale.

Giovinezza e formazione

Studiò inizialmente al Collegio Alemán, una scuola tedesca, e nel 1922, aspirando a diventare medico, s'iscrisse alla Escuela Nacional preparatoria. Qui si legò ai Cachuchas, un gruppo di studenti con un berretto come segno distintivo, sostenitori del socialismo nazionale, e incominciò a dipingere per divertimento i ritratti dei compagni di studio. Il gruppo ammirava il rivoluzionario José Vasconcelos e si occupava in particolare di letteratura; molte attenzioni erano riservate soprattutto ad Alejandro Gómez Arias, studente di diritto e giornalista, capo spirituale e ispiratore dei Cachuchas e di cui Frida si innamorò.

L'incidente

Un evento terribile segnò per sempre la sua vita, il 17 settembre 1925, quando, all'età di 18 anni, all'uscita di scuola salì su un autobus con Alejandro per tornare a casa e pochi minuti dopo rimase vittima di un incidente causato dal veicolo su cui viaggiava e un tram. L'autobus finì schiacciato contro un muro. Le conseguenze dell'incidente furono gravissime per Frida: la colonna vertebrale le si spezzò in tre punti nella regione lombare; si frantumò il collo del femore e le costole; la gamba sinistra riportò 11 fratture e il passamano dell'autobus le trafisse l'anca sinistra; il piede destro rimase slogato e schiacciato; la spalla sinistra restò lussata e l'osso pelvico spezzato in tre punti. Subì 32 operazioni chirurgiche. Dimessa dall'ospedale, fu costretta ad un riposo forzato nel letto di casa, col busto ingessato.

Questa situazione la spinse a leggere libri sul movimento comunista e a dipingere. Il suo primo lavoro fu un autoritratto, che donò al ragazzo di cui era innamorata. Da ciò la scelta dei genitori di regalarle un letto a baldacchino con uno specchio sul soffitto, in modo che potesse vedersi, e dei colori. Incominciò così la serie di autoritratti. "Dipingo me stessa perché passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio" affermò. Dopo che le fu rimosso il gesso riuscì a camminare, con dolori che sopportò per tutta la vita.

Gli inizi

Fatta dell'arte la sua ragion d'essere, per contribuire finanziariamente alla sua famiglia, un giorno decise di sottoporre i suoi dipinti a Diego Rivera, illustre pittore dell'epoca, per avere una sua critica.

Rivera rimase assai colpito dallo stile moderno di Frida, tanto che la prese sotto la propria ala e la inserì nella scena politica e culturale messicana. Divenne un'attivista del Partito Comunista Messicano a cui si iscrisse nel 1928. Partecipò a numerose manifestazioni e nel frattempo si innamorò di Diego Rivera. Nel 1929 lo sposò (lui era al terzo matrimonio), pur sapendo dei continui tradimenti a cui sarebbe andata incontro. Conseguentemente alle sofferenze sentimentali ebbe anche lei numerosi rapporti extraconiugali, comprese varie esperienze omosessuali.

In quegli anni al marito Diego furono commissionati alcuni lavori negli USA, come il muro all'interno del Rockefeller Center di New York, e gli affreschi per la Esposizione universale di Chicago. A seguito dello scalpore suscitato dall'affresco nel Rockefeller Center, in cui un operaio aveva il volto di Lenin, gli furono revocate tali commissioni. Nello stesso periodo del soggiorno a New York, Frida si accorse di essere rimasta incinta, per poi avere un aborto spontaneo a causa del suo fisico rimasto marchiato per sempre dall'incidente: ciò la scosse molto e decise di tornare in Messico col marito. I due decisero di vivere in due case separate, collegate da un ponte, in modo da avere ognuno i propri spazi "da artista". Nel 1939 divorziarono a causa del tradimento di Rivera con Cristina Kahlo, la sorella di Frida.

Il successo

Diego tornò da Frida un anno dopo: malgrado i tradimenti disse che non aveva smesso di amarla. Le fece una nuova proposta di matrimonio che lei accettò con riserve, in quanto era rimasta pesantemente delusa dall'infedeltà del marito. Si risposarono nel 1940 a San Francisco. Da lui aveva assimilato uno stile naïf, che la portò a dipingere piccoli autoritratti ispirati all'arte popolare e alle tradizioni precolombiane. La sua intenzione era, ricorrendo a soggetti tratti dalle civiltà native, di affermare la propria identità messicana. Identità messicana evidente anche nel suo modo di vestire. Infatti, Frida si ispirava al costume delle donne di Tehuantepec, un comune di Oaxaca, che ha una reputazione di "società matriarcale". Le donne comandano i mercati locali e sono famose per deridere gli uomini. Probabilmente questo è stato uno degli aspetti che ha catturato maggiormente la sua attenzione.

Il suo dispiacere maggiore fu quello di non aver avuto figli. La sua appassionata (e all'epoca discussa) storia d'amore con Rivera è raccontata in un suo diario. Ebbe numerosi amanti, di ambo i sessi, con nomi che nemmeno all'epoca potevano passare inosservati: il rivoluzionario russo Lev Trockij e il poeta André Breton, fra i tanti altri e altre. Fu amica e probabilmente amante di Tina Modotti, militante comunista e fotografa nel Messico degli anni Venti. Molto probabilmente esercitarono un certo fascino su Frida Kahlo anche la russa Aleksandra Kollontaj (1872-1952), che visse in Messico dal 1925 al 1926 come ambasciatrice di Mosca, la ballerina, coreografa e pittrice Rosa Rolando (1897-1962) e la cantante messicana Chavela Vargas (1919-2012). In Messico, durante il periodo post-rivoluzionario, le donne della generazione di Frida Kahlo arrivavano all'emancipazione principalmente per il tramite della politica; probabilmente anche per la stessa ragione la pittrice si iscrisse al Partito Comunista Messicano. Inoltre, come Sarah M. Lowe afferma, “il partito presentava anche un'altra attrattiva: la presenza e la militanza di numerose donne dinamiche la cui indipendenza e autodeterminazione possono aver incoraggiato la pittrice a unirsi a loro”.

Nel 1953 Frida Kahlo fu tra i firmatari (con Bertolt Brecht, Dashiell Hammett, Pablo Picasso, Diego Rivera, Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir e papa Pio XII) della richiesta di grazia per i coniugi Rosenberg, comunisti statunitensi condannati a morte e poi giustiziati a New York per presunto spionaggio a favore dell'URSS.

Morte

Ad agosto 1953, per un'infezione esitata in gangrena, le fu amputata la gamba destra. Morì di embolia polmonare a 47 anni il 13 di luglio del 1954.

Come secondo la sua volontà, venne cremata in seguito a un rito rigorosamente ateo, e le sue ceneri sono conservate nella sua Casa Azul, oggi sede del Museo Frida Kahlo. Le ultime parole che scrisse nel diario furono: "Spero che l'uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più."

Caratteristiche artistiche

Il regalo del letto a baldacchino e l'installazione dello specchio, durante la sua prolungata immobilità, ebbero inizialmente per Frida un effetto sconvolgente e la portarono al ricorrente tema dell'autoritratto. Il primo che dipinse fu per il suo amore adolescenziale, Alejandro. Nei suoi ritratti raffigurò molto spesso gli aspetti drammatici della sua vita, il più importante dei quali fu senza dubbio l'incidente del 1925.

Il rapporto ossessivo con il suo corpo martoriato caratterizza uno degli aspetti fondamentali della sua arte. Allo stesso tempo coglie l'occasione di difendere il suo popolo attraverso la sua arte facendovi confluire il folclore messicano.

Sotto questo aspetto, forte ma allo stesso tempo sfumato di humour, risulta nei suoi quadri l'impatto di elementi fantastici accostati a oggetti in apparenza incongruenti. Si tratta di quadri di piccole dimensioni (Frida predilige il formato 30x37 cm) dove si autoritrae con una colonna romana fratturata a ricordo della sua spina dorsale e circondata dalle numerose scimmie che cura come figlie nella sua casa. Tre importanti esposizioni le furono dedicate nel 1938 a New York, l'anno successivo a Parigi e nel 1953, un anno prima della morte, a Città del Messico.

Il rapporto con il surrealismo femminile

Dal 1938 l'attività pittorica s'intensifica: i suoi dipinti non si limitano più alla semplice descrizione degli incidenti della sua vita, parlano del suo stato interiore e del suo modo di percepire la relazione con il pianeta e quasi tutti includono tra i soggetti un bambino, sua personificazione. Per un breve periodo nelle sue opere gli elementi della tradizione messicana classica si uniscono a quelli della produzione surrealista.

Nel 1938 il poeta e saggista surrealista André Breton vide per la prima volta il suo lavoro: ne rimase talmente colpito da proporle una mostra a Parigi e proclamò che Frida fosse "una surrealista creatasi con le proprie mani". Nel 1939, su invito di André Breton, si recò a Parigi, dove le sue opere vennero presentate in una mostra a lei dedicata. Nella stessa città Frida frequenta i surrealisti facendosi scortare nei caffè degli artisti e nei night club; tuttavia trovò la città decadente. Sapeva che l'etichetta surrealista le avrebbe portato l'approvazione dei critici, ma allo stesso tempo le piaceva l'idea di essere considerata un'artista originale. Quello che può essere considerato il suo lavoro più surrealista è il quadro Ciò che l'acqua mi ha dato: immagini di paura, sessualità, memoria e dolore galleggiano nell'acqua di una vasca da bagno, dalla quale affiorano le gambe dell'artista.

In quest'opera così enigmatica sono chiari i riferimenti a Salvador Dalí, soprattutto per l'insistenza sui dettagli minuti. Estremamente surreale è anche il suo diario personale, incominciato nel 1944 e tenuto fino alla morte, una sorta di monologo interiore scandito da immagini e parole. Per molte immagini il punto di partenza era una macchia di inchiostro o una linea, come se usasse la tecnica dell'automatismo per verificare le sue nevrosi.

In ogni caso, nonostante l'accento posto sul dolore, sull'erotismo represso e sull'uso di figure ibride, la visione di Frida era ben lontana da quella surrealista: la sua immaginazione non era un modo per uscire dalla logica e immergersi nel subconscio, ma piuttosto il prodotto della sua vita che lei cercava di rendere accessibile attraverso un simbolismo. La sua idea di surrealismo era giocosa, diceva che esso "è la magica sorpresa di trovare un leone nell'armadio, dove eri sicuro di trovare le camicie". Anni dopo Frida negherà violentemente di aver preso parte al movimento.

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Le sue Opere







domenica 9 febbraio 2025

 

UN INDAGATO SULLA MORTE ACCIDENTALE A FERRANDINA

AGGIORNAMENTI SUL CASO

Per il 50enne Antonio Pirretti, perito accidentalmente nel depuratore di acquedotto lucano alle porte di Ferrandina, le ultime notizie affermano che:

Era dipendente di una ditta campana esterna, e quella mattina aveva iniziato a lavorare dalle 07:30, quando improvvisamente, nei primi dieci minuti di attività, inspiegabilmente si è accasciato su una griglia ai piedi di una scaletta che conduce ad una vasca, dove avrebbe dovuto svolgere lavori di manutenzione, da chiarire che se si sia trattato di un malore, sarà l'autopsia ad accertarlo, prevista per il prossimo pomeriggio di lunedì 10 febbraio.

La salma è stata posta a disposizione del Medico Legale nell’obitorio dell'ospedale Madonna delle Grazie di Matera.

Intanto la Magistratura, dopo indagini e rilevamenti effettuati sul luogo dell’accaduto, ha rilevato i seguenti reati, un indagato per omicidio colposo e l’accertata violazione delle norme di sicurezza sul posto di lavoro,  l'uomo infatti pare che non potesse svolgere quella mansione poiché invalido accertato da documentazioni INPS e Sanitarie.

Sollevate incertezze anche sulla questione dei cattivi odori da legali e familiari del Pirretti, mentre il Comune, proprietario dell'impianto, chiarisce che negli ultimi due anni si è già intervenuti per mitigarli grazie a Fondi di coesione sociale, e che entro l'anno, come già definito, partiranno lavori di ammodernamento.

 

MALORE O FATALITÀ…

INTANTO ANTONIO NON C’È PIÙ

Come ogni mattina, Antonio si recava regolarmente al lavoro, e regolarmente lasciava che anche sua moglie Michela raggiungesse il suo, impegnati ogni giorno dalla routine della vita quotidiana per sopravvivere degnamente e serenamente la loro esistenza, sino ad oggi, quando qualcuno ha deciso di mettere fine alla loro tranquillità familiare, e non solo, buttare scompiglio tra parenti e amici, oltre che distruggere la restante vita alla cara mamma già vedova suo malgrado.

Dispiaciuti ed affranti anche i semplici conoscenti, sbalorditi dalla notizia che nella prima mattinata ha raggiunto tutti, qualcuno ha divulgato la notizia che Antonio non c’era più, nelle prime ore di lavoro una fatalità gli ha permesso di scomparire agli occhi di tutti, dicono un incidente sul lavoro, ma come può una semplice giornata lavorativa, trasformarsi velocemente in una immane tragedia, tanto da cambiare la vita a tanta gente, non si sa ancora la causa che abbia potuto scatenare tanto dolore, forse un malore, una ingenuità, oppure un incidente per una fatale distrazione, questo lo dimostrerà la magistratura, nel frattempo, abituiamoci alla mancanza improvvisa di una nobile anima pia, non sarà facile, ma ci tocca provarci nostro malgrado.

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domenica 9 giugno 2024

 

DA IERI IL CASTELLO DI UGGIANO RITORNA AI FERRANDINESI

Lo rende noto il Sindaco Carmine Lisanti durante il consiglio comunale di ieri, finalmente le origini della città Aragonese sarà testimoniata e raccontata al mondo tramite il suo più autorevole monumento storico “il Castello di Uggiano”, che ritorna di proprietà della Comunità Ferrandinese, e di conseguenza si potrà procedere con un colossale e costosissimo restauro totale, in modo tale da renderlo fruibile a turisti ed appassionati di storia antica, sappiate che l’ultimo restauro risale al 1347 da parte di un certo “Mastro Jacopo Trifogli da Stigliano”.

Queste le parole del Sindaco:

“Sono veramente orgoglioso di comunicare l’acquisizione definitiva al patrimonio comunale del Castello di Uggiano,  che finalmente potrà essere riqualificato e valorizzato quale formidabile attrattore per il turismo naturalistico e culturale, un sentito ringraziamento voglio rivolgerlo alla maggioranza, alla giunta, agli uffici comunali ed all’ Amministrazione precedente, che hanno sostenuto e seguito il delicato e complesso percorso amministrativo, consegnando ai ferrandinesi questo straordinario obiettivo”.

La Comunità è orgogliosa del risultato raggiunto, e ancor di più quando vedrà realizzato l’enorme restauro a testimonianza delle proprie antichissime origini, da troppo tempo trasformato in ruderi cadenti ed ammasso di pietre, oggi sicuramente felici per aver appreso la lieta notizia, ma preoccupati di quanto tempo ancora ci sarà bisogno prima di rivederlo rinato a nuova vita…? Per il momento grazie Sindaco!!!

Cenni storici:

Le origini del Castello non sono ben documentate, il primo insediamento, probabilmente, nacque come “pago” di Metaponto e come presidio alla grossa arteria viaria e commerciale che, seguendo il percorso del torrente Vella, si dirigeva verso l’interno. Dopo la distruzione di Metaponto (II sec. a.C.), e con l'avvento di Roma, Uggiano subì un notevole ridimensionamento cui conseguì un forte depauperamento della zona (Sottrazione e dispersione di capacità produttive, di rendimento, di efficienza, di vitalità, impoverimento del terreno, in seguito al consumo delle sostanze nutritive a opera delle coltivazioni).

I Romani, infatti, impegnarono le loro risorse a potenziare le strade che dalla Campania portavano in Calabria (Moliternun, Grumentum) ed in Puglia (Potenza, Melfi, Venosa, Brindisi).

Il periodo Bizantino

Per notare un certo risveglio bisognerà aspettare il dominio dei Bizantini, con l'avvento dei quali le popolazioni che avevano abbandonato le primitive sedi tornarono a ripopolarle, come dimostrano le monete dell’epoca, rinvenute presso Uggiano, risalenti per lo più al VII e VIII secolo dopo Cristo.

È appunto a tale epoca che bisogna far risalire la prima struttura fortificata che fu completata più tardi, intorno all'anno mille, con l'arrivo di Bugiano Catapano, inviato da Costantinopoli a difendere le terre del Meridione contro Melo ed i Normanni.

Data l'affinità dei due termini (Bugiano ed Uggiano) alcuni studiosi hanno riferito la ristrutturazione ed il completamento del Castello a questo generale.

 I Longobardi a partire dal VII secolo d.C. Uggiano (dai testi Oblano) entrò a far parte del grande Gastaldato del Latiniano, territorio il cui centro era situato tra le valli del Sinni e dell’Agri.

I Normanni

Con l’arrivo dei Normanni il Castello assume un ruolo ancora più determinante; infatti la prima notizia storica documentata relativa al Castello di Uggiano risale al 1023 - 1029, anni in cui due mussulmani, certi Rajka e Saffari, assediarono il Castello e lo espugnarono per tradimento di un certo Gotifredo.

Altro riferimento è quello del 1058, anno in cui Roberto il Guiscardo, non essendo riuscito a prendere Montepeloso (Irsina), rivolse la sua attenzione ad Uggiano, riconquistando il Castello “cum paucis” anche perché ritenuto strategicamente più forte ed importante.

In quest’epoca, probabilmente, il Castello fu ristrutturato in modo da adeguarlo alle nuove esigenze difensive.

Intorno al 1133 il territorio passò nelle mani di Ruggero II in seguito ad una grande battaglia avvenuta in località “Coste dell'Abate” da lui vinta.

Altro riferimento storico è il Catalogus Baronum, ovvero l’elenco normanno dei feudatari tenuti al servitium feudale, da cui si evince che un certo Rogerius de Ogiano possedeva il feudo di Sant’Arcangelo di cui Uggiano faceva parte.

Gli Svevi

Al dominio normanno subentra quello degli Svevi con Enrico VI figlio del Barbarossa.

Sotto il regno di Federico II Uggiano divenne fondo di casa Sveva ed infine nel 1269 fu donato a Pietro di Belmonte conte di Montescaglioso.

Gli Angioini

Sotto gli Angioini l’università di Uggiano raggiunge il massimo splendore, nei registri della tassazione focatica della Cancelleria Angioina degli anni 1276-1277 risulta che Uggiano contava una popolazione di 400 fuochi (famiglie) rappresentando così una delle più grandi università della Basilicata.

Secondo alcuni studiosi , questo non deve far pensare che intorno al castello vi fosse un insediamento di tale rilevanza, ma che Uggiano fosse il nome dell’attuale Ferrandina nella sua attuale posizione e che il Castello assolvesse prevalentemente funzioni difensive e di presidio della zona (Uggiano nomine Ferrandine).

Nel 1308 Uggiano, in quanto parte del feudo di Andria, fu portato in dote da Beatrice, ultima figlia di Carlo II d’Angiò, ad Azzo d’Este.

Dopo la morte di questi, Beatrice sposò in seconde nozze Bertrando del Balzo, cui portò ancora questa terra in dote.

In tale epoca fu necessaria una ristrutturazione generale dovuta probabilmente a motivi di ordine statico in seguito alle frane ed agli slittamenti del terreno ove sorgeva il Castello.

Nel 1309 fu infatti chiamato, dalla vicina Stigliano, Mastro Jacopo Trifogli affinché curasse il rifacimento delle fortificazioni, il consolidamento delle strutture di difesa e l'abbellimento delle zone adibite a residenza.

Tale intervento “attesta l’apice della gloria e l’inizio del declino del glorioso maniero.

Giovanni da Salandra nel 1404 curò una nuova ristrutturazione ed un rifacimento completo del mastio, il cui ponte levatoio doveva servire a collegare il Castello con l'esterno, altrimenti separati da un camminamento forzato.

Alla guida del Feudo successe, dopo alcune generazioni, Pirro del Balzo, reintegrato dal re Ferdinando I con un atto del 20 dicembre 1430 con cui lo si perdonava di alcune ribellioni da lui organizzate.

Lupo Protospata, informazioni storiche acquisite, è da considerare la presenza di alcune date importanti riportate su tre pietre.

La prima pietra è murata a destra del portale dell’ingresso con arco a sesto acuto (angioino) che dava accesso agli appartamenti del castellano.

“HOC OPUS FECIT MAGISTER JACOPUS TRIPOGIANUS DE AUSTILIANO ANNO DOMINI 1347”

Tale iscrizione conferma che un importante rifacimento del Castello fu effettuato da Mastro Iacopo Trifogli da Stigliano, il quale curò il rifacimento delle fortificazioni e l'abbellimento delle zone adibite a residenza.

La seconda iscrizione, probabilmente un tempo murata sulla facciata interna alla cinta muraria, è custodita nell’atrio della vicina masseria Lisanti, posta ai piedi delle pendici del Castello. Essa raffigura un delfino che salva un infante e porta incisa la data del 1409.

La terza iscrizione si trova sulla facciata della masseria Lisanti. Si pensa che originariamente si trovasse presso la chiesa di S. Domenico, costituita ormai da ruderi e situata al termine della strada interpoderale che porta al castello. Essa riporta la data del 1478 “MENSIS MARCI 1478”. Tale data è l'ultima alla quale possiamo fare riferimento per la storia del Castello.

Descrizione del sito

L’ubicazione del Castello di Uggiano sorge sul dorso di una collina, situata a circa 5 km a Nord-Ovest dell'abitato di Ferrandina, a 479 m. sul livello del mare.

Il sito si estende tra: il Canale Lavannara ed il Fosso del Varvaro (a Nord-Ovest); le formazioni argillose calanchive delle Coste di Uggiano, lungo il torrente Vella (a Sud-Est).

Il Castello è raggiungibile, da Ferrandina, percorrendo la provinciale per Salandra per circa due chilometri sino al dosso della contrada Serra; lì si innesta una strada interpoderale asfaltata che si arresta, dopo altri tre chilometri, all'altezza della masseria Lisanti posta alle falde della collina di Uggiano.

L'ultimo tratto di cammino da compiersi per giungere al Castello è esclusivamente pedonale e poco agevole.

Per la propria posizione geografica e per la sua altitudine, la collina domina una vasta estensione di territorio: dalla sua sommità è visibile il percorso viario che da Craco e Montalbano giunge allo Jonio spingendosi fino ai monti calabri.

Pertanto, Uggiano ha sicuramente assunto valore strategico già a partire dai primi insediamenti.

La sua importanza territoriale deriva, inoltre, dal fatto che è posto al centro di due direttrici di movimento: la prima Sud-Nord, dal mare verso l’interno (e viceversa); la seconda Est-Ovest, lungo la linea che parallelamente al mare Jonio, partendo da Matera e attraversando le cinque valli fluviali lucane, giunge al Senisese.

La morfologia, la collina di Uggiano presenta in pianta una forma allungata, pressoché sub-ellittica, con asse maggiore allineato secondo la direttrice Nord-Sud.

La sezione verticale è a forma di tronco di cono e presenta alla sommità una zona pianeggiante di circa 6.700 mq.

La zona immediatamente attigua alle mura perimetrali del Castello degrada con andamento subverticale; in alcuni punti l’inclinazione raggiunge i 51° con una pendenza del 125%, fatto che rendeva la fortezza inaccessibile ma che ne ha probabilmente causato la continua instabilità.

Si passa quindi in maniera rapida dai 479 mt in sommità ai 440 mt (s.l.m.) in corrispondenza di una terrazza di mezzacosta, molto evidente sul lato Est, e che diviene percorso carrabile sul lato Ovest.

Dopo lo strapiombo la pendenza si fa meno accentuata, particolarmente sul lato Ovest - Nord Ovest lungo il quale si notano i resti di insediamenti urbani.

Tutta l’area è fortemente instabile a causa della pendenza suddetta e del rimaneggiamento degli agenti atmosferici e meteorici.

Le pendici, in prossimità dei torrenti Vella e Salandrella, si presentano attraversate da solchi più o meno profondi che si sono evoluti nel tempo dando alla collina l’aspetto calanchivo tipico della zona.

Descrizione dell'Immobile

Il Castello occupa una superficie elevata (circa 6.700 mq) che si sviluppa all’interno di una poligonale che descrive le mura perimetrali e le cui diagonali sono dell'ordine di m. 140 e di m. 60.

All’interno della superficie del maniero è possibile distinguere essenzialmente i sei complessi strutturali che vengono illustrati nel seguito.

L’ingresso principale In corrispondenza del lato Nord-Ovest del Castello è presente quello che viene individuato come ingresso principale della fortezza.

L’ingresso è raggiungibile solo mediante una piccola stradina molto erta che si inerpica tra i resti crollati.

Esso è costituito da un arco affiancato e protetto da due torri di cui solo quella destra (entrando) presenta ancora i suoi lineamenti. La torre a sinistra del portale di ingresso è completamente crollata.

Le mura di cinta ed i territori

Il Castello era cinto da mura alte dai 7 ai 12 metri, il cui spessore variava da un minimo di mt. 1,50 ad un massimo di mt. 3,00.

Ciascun vertice della poligonale terminava in una torre quadrata di dimensioni variabili sempre aperte verso l'interno.

In totale le torri erano cinque, probabilmente, ma le attuali condizioni non permettono di effettuare una lettura precisa della loro collocazione e della loro sagoma.

A giudicare da foto storiche riguardanti il torrione Sud-Est, le torri si sviluppavano su due piani fuori terra (rispetto al livello dei cortili interni del Castello) realizzati mediante solai costituiti da quattro pietre angolari aggettanti su cui erano poste travi di spessore tra i 20 ed i 30 centimetri.

Su queste ultime era poggiato l'assito e sull'assito, per uno spessore di circa cm. 10, vi era un manto di copertura molto simile al moderno calcestruzzo.

Le torri erano dotate di servizi igienici ricavati nello spessore del muro e quelle più grandi possedevano un piano interrato che serviva probabilmente a contenere acqua piovana o scorte.

Lo sperone Sud delle mura costituisce la parte strutturale che per prima viene ammirata pienamente avvicinandosi al Castello, dopo aver percorso una strada di campagna, e sorge imponente sovrastando la masseria e la strada di accesso.

Inizialmente di forma triangolare, esso è formato attualmente da due setti murari completamente indipendenti strutturalmente.

I frammenti crollati, alcuni di grosse dimensioni, si trovano a mezzacosta parzialmente coperti da terra ed erbacce.

La parete Nord-Ovest, più alta, presenta una fessura praticamente verticale, con semplice discostamento orizzontale dei filari di pietre.

Torre Sud-Est crollata, i cortili, tra i vari edifici vi erano cinque cortili separati l’uno dall’altro da spesse mura in modo da permettere la difesa anche all’interno del Castello se il nemico fosse riuscito ad oltrepassare la cinta esterna.

I cortili più grandi erano dotati di cisterne che raccoglievano le acque piovane direttamente dai tetti mediante una serie di condotti in laterizio la cui immissione è visibile alla base delle mura.

La Cappella

La Cappella è situata sul lato ovest degli appartamenti residenziali, presenta una pianta rettangolare ed era probabilmente dedicata a San Lorenzo.

Era dotata di un piccolo nartece e terminava con un'abside le cui fondazioni sono ancor oggi visibili.

La residenza del castello

All'interno, protetta dagli edifici circostanti, vi era la residenza signorile delimitata dai cortili, dal muro della scuderia e da pareti al di sopra del camminamento di ronda sui lati Est e Nord-Est onde assicurare agli abitanti la massima protezione e privacy.

L'ingresso all'appartamento, costituito da un grande portale sormontato da un arco ogivale di fattura angioina, immetteva direttamente in un grande ambiente di disimpegno tra le ali Sud e Nord dell'appartamento del castellano.

Le caserme A Nord-Est e ad Ovest Sud-Ovest erano ricavati gli alloggi per i soldati della guarnigione.

Sono costituiti da circa 20 locali delle cui murature non sono evidenti tracce complete; questo per il fatto che le strutture si trovavano a ridosso della cinta muraria crollata per scalzamento.

L’esterno del Castello, lungo i fianchi della collina, sottostanti alle mura, erano sicuramente disposte tante piccole abitazioni costruite con materiali poveri, di cui restano alcune tracce visibili.

Oggi, a testimoniare la loro presenza, non rimangono che poche pareti, scarnificate dall'erosione e dai crolli delle sovrastanti mura del Castello.

A sud la grande quantità di ossa umane fatte affiorare dall'aratro, secondo quanto raccolto da informazioni verbali, fa supporre che vi fosse una zona adibita alla sepoltura dei morti.

In basso, ai piedi delle pendici del Castello, sono presenti le strutture di una masseria (masseria Lisanti) e i ruderi di una Chiesa dedicata a San Domenico.






venerdì 21 luglio 2023

 

ONORA IL PADRE E LA MADRE

Un efferato omicidio del 1° Maggio 1959 a Ferrandina

In quel periodo Ferrandina si preparava al boom economico della Valbasento, grandi cattedrali nel deserto che avrebbero risollevato l’economia ed il benessere della Lucania tutta, la gente si preparava a lasciare la terra per il sogno del lavoro in fabbrica, lo stipendio fisso tanto biasimato e tanto ricercato da lavoratori ormai rassegnati al peggio.

Nonostante l’analfabetismo e l’inesperienza che all’epoca la faceva da padrona, tutti sognavano un reddito certo e fisso, nonostante la loro inesperienza e ingenuità.

La Lucania all’epoca era una terra in prevalenza basata sull’agricoltura, la cui massima aspirazione era quella di possedere un pezzo di terreno e coltivarlo sia per vivere che per creare un reddito familiare, da qui parte questa incredibile vicenda, vissuta in un’epoca di analfabetismo, che sfocia in un efferato omicidio dai toni orrendi e crudeli, roba da far accapponare la pelle.

Era il lontano 1959, e precisamente il 1° maggio, le vittime due tranquilli e innocui genitori, che tra stenti e tanti sacrifici erano riusciti a crescere 3 figli maschi, inconsapevoli della loro terrificante intenzione maturata in età adulta.

3 figli che istigati dalle proprie mogli, dopo intrighi matrimoniali e tradimenti vari, maturano la volontà di commettere un terribile omicidio genitoriale al limite della più efferata carneficina, da veri macellai dell’orrore, che ancora oggi fa ribrezzo a chi ne viene a conoscenza.

Di seguito trovate un video di indagine giornalistica a cura della Gazzetta del Mezzogiorno, Repubblica e  Cinegiornale LUCE, curata e ricostruita da giornalisti e testimoni che hanno vissuto la vicenda da vicino, con foto e pubblicazioni dell’epoca.  

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